Cronache

Strage di Corinaldo, le intercettazioni: chi sono i ragazzi fermati

"Se non era per i morti a Sfera facevo la collana"

Ugo spruzzava e, nella confusione, Andrea e Moez rubavano e fuggivano. A nascondere il bottino ci pensava Raffaele, che aveva anche il compito di individuare i locali giusti, le serate più affollate e dunque più redditizie. Ci pensava il «vecchio» con il suo «Compro oro» a riciclare colonnine, braccialetti e quant’altro di prezioso la banda riusciva ad arraffare. I ruoli - come si legge in un articolo de Il Corriere della Sera - venivano definiti prima dell’azione, ma potevano variare di volta in volta. Così, di sera e di notte. Di giorno, i più bighellonavano, ogni tanto spuntava un lavoretto, ma c’è anche un operaio e un parrucchiere. Cinque italiani, un marocchino, un tunisino, quasi tutti in qualche modo coinvolti in fatti di droga con piccoli precedenti per furto e reati contro il patrimonio. Abitano nel Modenese, fra San Prospero, Castelnuovo Rangone, Castelfranco Emilia, San Cesario sul Panaro, paesi di campagna e di masserie distanti poche decine di chilometri l’uno dall’altro. Parola d’ordine: rubare.

Il mancato furto a Sfera Ebbasta

Al punto che, dopo la strage del Lanterna Azzurra, dove nel panico generale erano riusciti a strappare sei catenine, avrebbero voluto arraffare anche quella del trapper Sfera Ebbasta, il loro mito, incrociato al grill dopo il concerto. «La collana quella con la chitarra fra, Badr lì se non era stato per i morti te lo giuro... gliela faceva, lo guardava in un modo», dicono fra loro senza sapere di essere intercettati.

«Badr è un fan di quella m... di cantante ma non è un ladro e nemmeno un assassino», insorge la madre, Leila, marocchina da oltre vent’anni in Italia. Abita con suo marito e un altro figlio piccolo in una casetta fra i campi di granturco di San Prospero. «Quella sera Badr è tornato sconvolto per quel che era successo ma lui non c’entra, ne sono sicura. Mio figlio è un lavoratore, una persona seria, ha sudato in fonderia e adesso va a scuola e lavora da parrucchiere. Un ladro non fa certi lavori».

Gli insulti ai poliziotti sui social

Il vero capo non c’era ma Ugo Di Puorto, il più giovane, un certo ascendente sugli altri ce l’aveva. Originario di Aversa, figlio di un pregiudicato al 41 bis, vive con la madre e un fratello minore in una decorosa palazzina sempre a San Prospero. Su Facebook è Hugo e come immagine di copertina ha la scritta Acab, «All cops are bastards», tutti i poliziotti sono bastardi. «Sbirri figli di p...», ribadisce in un post. Aspetto curato, abiti firmati, lavoro precario, Hugo è stato fermato due mesi prima della strage di Corinaldo per «furto con strappo», il vecchio scippo.

Dopo la tragedia, con gli amici ha continuato a bazzicare discoteche dove sono stati denunciati vari furti: a Brescia, a Ravenna, a Forlì, a Vicenza. Fino a Rovigo, per la seratona del 2 marzo scorso. Quel giorno in «trasferta» c’erano lui, Raffaele Mormone ed Eros Amoruso. Obiettivo: discoteca Studio 16 di Arquà Polesine. Ugo invita gli altri a non avere paura e non sa che ad ascoltarlo ci sono i carabinieri. Raffaele lo rassicura: «Porto il gas dentro, ti giuro faccio spruzzare tutti, li faccio sparire». «Ormai va di nuovo di moda il gas... Già l’hanno dimenticato... Spruzzo io, tu me lo rimetti in tasca dopo che ho spruzzato — dice a Ugo — voglio vedere chi lo trova... Eh eh eh, voglio vedere se prendono le impronte dall’aria...». Una sfida. A Corinaldo infatti avevano perso la bombetta dello spray al peperoncino, sequestrata dalle forze dell’ordine.

Il selezionatore e il riciclatore

«Mormone ha partecipato a numerosi furti — scrive il gip — commessi soprattutto con Di Puorto, Amoruso e Haddada». Lui era il selezionatore dei locali. «Eventi musicali che potevano garantire al gruppo maggiori guadagni, confrontandosi con Di Puorto per la scelta di quello ritenuto più redditizio». Modenese di San Cesario sul Panaro, Mormone salvaguardava la refurtiva. Anche perché di tempo ne aveva. «Non risulta svolgere alcuna attività lavorativa tanto che i suoi complici, spesso, lo hanno spronato in tal senso per giustificare i proventi illeciti», scrive il giudice. Secondo l’accusa i lavori servivano dunque da copertura. Operai, pony express, camerieri. «Fra’, mi piacciono i soldi...» dice Mormone intercettato. «E a me soldi e adrenalina», risponde Di Puorto.

Chi invece aveva una vera e propria attività era Andrea Balugani, il «vecchio» del sodalizio. Sessantacinquenne di Castelfranco Emilia, titolare di un «compro oro», era colui che ricettava collane, braccialetti, anelli, «a un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato e, così, si assicurava un illecito profitto». Sia chiaro, lui non c’entra con Corinaldo e non partecipava ai «colpi» della gang. Se ne stava nel suo negozietto, il Castello, e lì aspettava.

Quando Di Puorto era a corto di denaro, lui glielo anticipava, cosicché si potesse permettere una nuova «trasferta». Insomma, per l’accusa l’organizzazione c’era.

«Banda? Associazione? Ma state scherzando... io non c’entro nulla», ha detto Balugani agli investigatori che lo portavano via.