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Cronache
Trattativa Stato-Mafia, confermata l'assoluzione per vertici Ros e Dell'Utri
Marcello Dell'Utri IPA

    
La trattativa, intesa come dialogo per fare cessare la stagione delle bombe e degli attentati senza alcuna concessione da parte dello Stato, non fu reato. La tesi dell'accusa, quella del patto tra esponenti della politica, carabinieri e mafiosi che avrebbe accelerato anche la strage di via D'Amelio, era già stata messa fortemente in discussione dalla sentenza della Cassazione che aveva confermato l'11 dicembre 2020 l'assoluzione dell'ex ministro Dc Calogero Mannino, e dunque la decisione della Corte d'appello di Palermo, del 22 luglio 2019, che aveva ritenuto "indimostrato che Mannino abbia operato pressioni per la revoca del regime del carcere duro, secondo la tesi accusatoria che lo vuole come input, garante, e veicolatore alle autorità statali della minaccia contenuta nella trattativa".
    
I giudici di appello del processo Stato-mafia hanno affermato che fu “improvvido” il tentativo dei carabinieri di “agganciare” Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso vicino ai corleonesi di Riina e Provenzano. Ma la “finalità precipua ed anzi esclusiva era quella di scongiurare il rischio di nuove stragi”. Scartata in partenza l'ipotesi di una collusione dell'Arma con ambienti della criminalità mafiosa, per quanto "improvvida" fu quella iniziativa, i carabinieri furono mossi da “interessi solidaristici, ossia – si legge nelle tremila pagine - da ragioni e interessi del tutto convergenti con quelli della vittima del reato di minaccia a Corpo politico dello Stato". 

E anche per quanto riguarda Dell’Utri, il giudizio è tranchant: “Si è avuto modo di osservare che difetta la prova certa che lo stesso abbia fatto da tramite per comunicare la rinnovata minaccia mafiosa/stragista sino a Belusconi quando questi era presidente del Consiglio dei ministri così percorrendo quello che, per opera di semplificazione, può essere individuato come "l'ultimo miglio" percorso il quale il reato sarebbe stato portato a consumazione". Secondo i giudici di secondo grado, “al di là del pieno coinvolgimento di Dell'Utri nell'accordo preelettorale (o nella promessa elettorale come pure definita), sul quale sono state raccolte plurime e convergenti elementi di conferma perfino rafforzati in questo giudizio di appello, non si ha prova che a questa fase abbia fatto seguito la fase ulteriore della comunicazione della minaccia a Berlusconi in qualità di parte offesa e di Presidente del Consiglio".

Nelle 5.252 pagine delle motivazioni, che arrivano lo stesso anno nell'anniversario della strage di via D'Amelio, fu espressa, tra l'altro, la convinzione che "l'improvvisa accelerazione che ebbe l'esecuzione del dottore Borsellino" fu determinata "dai segnali di disponibilità al dialogo, e in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci, pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D'Amelio". 

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