Cronache
Un concetto in crisi: "L'impossibile"
Di Gianni Pardo
C’è un concetto malato, che continua a perdere forza e credibilità: “l’impossibile”.
Un tempo, forse perché quotidianamente sopraffatti dalle forze della natura e da una realtà elementare, le cose impossibili erano molte. Non se ne era stupiti e si smetteva di cercare una soluzione, se qualcosa era stato dichiarato impossibile.
Tutto ciò è cambiato e c’è da esserne fieri. La scienza ha reso possibili tante di quelle cose che si credevano impossibili, che perfino dinanzi ad affermazioni assolutamente perentorie – “non si può andare più veloci della luce”, un imbecille che ha difficoltà con le quattro operazioni, può sempre chiedere: “Sì, ma in futuro?” E per giunta l’esperienza ci insegna ad essere prudenti. Perché in campi simili a volte gli imbecilli hanno avuto ragione.
Lo scadimento del concetto di impossibilità ha tuttavia effetti negativi sul comportamento delle persone. Ci sono ragazzi che non hanno mai studiato e tuttavia sperano di essere promossi; concorrenti stonati come campane che si presentano come candidati cantanti; semianalfabeti che in loro vita non hanno letto un solo libro e scrivono romanzi; ragazze dalle gambe storte che vorrebbero essere elette reginette di bellezza. La lista è infinita, forse perché, nutrite da infinite variazioni cinematografiche di quella favola immorale che è Cenerentola, legioni di poveri illusi continuano a sperare in un happy end che il buon senso ha escluso in partenza.
La scienza e l’arte non sono le uniche fonti di speranze azzardate. Un tempo si aveva l’idea ingenua che per comprare bisognasse avere denaro, ora basta impegnarsi a raccogliere e versare in futuro i soldi che non si è riusciti a raccogliere in passato. Ma intanto – cosa impossibile nell’antichità - si ha già in mano l’oggetto del desiderio.
Allo svuotamento del concetto di impossibile ha contribuito potentemente anche la politica. Da circa mezzo secolo i governi promettono miracoli e a volte addirittura li fanno. In questo campo l’Italia ha all’attivo inconsuete prodezze. Da sempre si era pensato che se un’impresa andava stabilmente in rosso sarebbe stato impossibile che non fallisse. E invece in Italia il principio divenne: “Se una grande impresa è tecnicamente fallita, la si nazionalizza”. Si pensava che per avere la pensione bisognasse prima versare adeguati contributi, e il governo inventò invece le baby pensioni. Luciano Lama, il famoso sindacalista, arrivò alla teorizzazione del superamento del concetto di impossibilità quando disse che il salario era una “variabile indipendente” dal bilancio dell’impresa. Un tempo i francesi dicevano: “impossible n’est pas français”, forse è più vero che “impossibile” non sia italiano.
Ma non siamo comunque stati gli unici a trascurare e trascendere i limiti del possibile. L’Unione Europea aveva stabilito che per essere ammessi nell’eurozona bisognava non superare il rapporto debito/pil del 60%, e i gonzi come il sottoscritto pensarono che accettare l’Italia sarebbe stato comunque impossibile. Lo era, certo, ma “soltanto un po’”. Pur di ammetterci accettarono la promessa che saremmo rientrati nei parametri, come se una ragazza avesse sposato Don Giovanni Tenorio credendo alle sue promesse di fedeltà.
L’Unione Europea non si è limitata a questo, ché anzi questo era il meno. Poiché le avevano detto che l’unione politica degli Stati era impossibile, ha introdotto un’impossibile moneta comune europea, in modo da passare da un’impossibile unione economica ad un’ancor più impossibile unione politica. È così che è riuscita a realizzare un completo disastro sia sul piano economico sia sul piano politico. Oggi le animosità fra i vari Paesi sono ben più marcate di dieci anni fa.
L’esperienza e il buon senso hanno smesso di avere corso legale. All’Europa era stato detto che la Grecia era inadatta ad entrare nell’euro, ma i nostri eroi dell’ideale si sono chiesti: “Perché fermarsi dinanzi all’impossibile dei timidi? Forza, il cuore oltre l’ostacolo!” E quando la Grecia ha cominciato ad affondare non s’è voluto affrontare coraggiosamente il problema: ci si è limitati a negarlo e a rinviarlo, ancora e ancora, fino a renderlo sempre più grande, fino a mettere in pericolo l’intera Unione Europea. Le nozioni più semplici non valgono più, se contrastano con le belle intenzioni. L’idea che un intero Paese, se pure piccolo, non può vivere costantemente al di sopra dei propri mezzi è stata considerata parte del bagaglio culturale delle idee delle persone di basso livello, di quelle che hanno un’indecente mentalità “ragionieristica”. Con i risultati che vediamo.
Inutile preoccuparsi, tuttavia. La situazione greca presenta delle difficoltà, ma “una soluzione si troverà”. È soltanto una questione di fantasia finanziaria. “Impossibile” è un aggettivo obsoleto. Comunque, come insegna il detto inglese: “the impossible we do straight away, miracles take a little longer”, l’impossibile lo facciamo subito, per i miracoli ci vuol soltanto un po’ più di tempo. Che volete che sia, un miracolo in più o in meno?
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