Cronache

Violenza sulle donne, la vera sfida è la prevenzione

Di Maria Pia Perrino

I simboli hanno il loro valore ma ciò che è davvero importante è che si raggiunga una consapevolezza diffusa e capillare della gravità del fenomeno

Si spera che il 25 novembre di quest’anno, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non sia la
solita parata di scarpine e panchine rosse. I simboli hanno il loro valore ma ciò che è davvero importante è che si raggiunga una consapevolezza diffusa e capillare della gravità di un fenomeno che compromette spesso irreversibilmente i vissuti delle tante donne coinvolte.

Gli istituti preposti alla protezione delle vittime, i centri antiviolenza e le case rifugio, che rappresentano
oramai una significativa realtà territoriale in grado di proteggere le vittime, incidono sul fenomeno in termini riparativi ovvero offrono alla donna una possibilità di sottrarsi al carnefice ma non hanno come
missione principale la prevenzione.

Ed è sul terreno della prevenzione che la vera partita si gioca, perché anche la tutela di ordine pubblico molto spesso ha fallito. Sono noti i casi di donne che pur avendo denunziato anche più volte il loro carnefice ne rimangono comunque vittime.

Occorre offrire alle donne strumenti di crescita psicologica che le supporti nel riconoscere i segni distintivi
di questi atti criminali sin dai primi segnali, quando la crudeltà si esprime ancora offuscata da gesti
apparentemente affettuosi con cui si tenta di avvolgere la vittima in una catena di sensi di colpa .

Il movente che accompagna questi atti efferati che arrivano all’omicidio, spesso anche dei figli, è l’incapacità dell’uomo di misurarsi con il bisogno di indipendenza che la donna manifesta accompagnato
spesso dalla volontà di mettere in atto un nuovo progetto di vita . Appare evidente quanto a monte di questi vissuti ci siano fallimenti relazionali di cui la donna è capace di prendere atto, mentre l’uomo li vive come un rifiuto, come uno smacco e nel peggiore dei casi come una ferita alla propria mascolinità. Ma tutto questo non avviene in un giorno, spesso trascorrono mesi di sofferenza vissuta tra le mura domestiche.

Questi fallimenti relazionali vanno messi sotto la lente di ingrandimento sin dal loro apparire, con un’opera di prevenzione che non lasci la donna sola e impotente priva di strumenti “diagnostici” circa la gravità di quanto le sta accadendo attorno. È una prevenzione che solo il sistema pubblico può offrire, se si vuole che il sostegno arrivi alle donne di qualunque classe sociale.

Istituire dei nuclei territoriali di prevenzione sul modello dei consultori degli anni 80 deputati a prestare
soccorso psicologico alle donne “a rischio” potrebbe supportarle nel decodificare i comportamenti del
carnefice, nel sottrarle al loro isolamento nel fornire loro gli strumenti, anche autonomi, per scegliere quale
strategia difensiva porre in atto.