Cronache

Willy, Revelli: “L'omicidio è il prodotto dell'incultura dei social”

Per Revelli l'aggressione per cui il giovane ha perso la vita non ha nulla a che fare con razzismo e fascismo. "E' il prodotto della sottocultura social"

In una intervista rilasciata al sito Vita, il sociologo Marco Revelli parla dei fatti di Colleferro e tenta di dare una spiegazione correlando il brutale omicidio alla sottocultura che da anni spopola nei social network. "Credo che siano due universi esistenziali e morali opposti che si sono purtroppo sciaguratamente incrociati producendo questa morte per certi versi esemplare. Willy è stato un agnello sacrificale - afferma Revelli - nella morte di questo ragazzo generoso e altruista c'è l'incontro con la violenza pura materializzata in corpi costruiti come armi. Sono due antropologie, due modi di stare al mondo opposti. Uno è il positivo e l'altro è il negativo. Solo che il negativo, che oggi è un caso estremo, non è così delimitato e confinato. È un modo di stare al mondo, quello di quel branco, che non è un'eccezione. I due fratelli è vero che, concentrando in sé stessi tutto il peggio, sono unici in questo. Ma pezzi della loro incultura sono in realtà molto diffusi: la costruzione del proprio corpo come arma, la pratica costante dell'offesa e della prevaricazione, l'atteggiamento minaccioso verso gli altri".

L'arroganza, "sentimento diffuso" per Revelli contribuisce all'incultura. "La prevaricazione e la prepotenza non sono considerati disvalori da mettere al bando - spiega - ma tollerati come parte dello stato delle cose. Oggi sono modus operandi accettati e sdoganati persino da un pezzo della politica che flirta con questi atteggiamenti e con chi si renda protagonista di questi atteggiamenti. Questa antropologia 'incorporata' fondata sull'esibizione di pettorali e addominali, dei bicipiti, dei tatuaggi aggressivi, dello sguardo truce".

C'entra il fascimo? Per Revelli siamo di fronte "a un grado di cultura zero". Una "costruzione narcisistica autoreferenziale che si evince ancora una volta dalla loro corporeità che sembrerebbe sostituire la parola". Revelli evidenzia che "non hanno bisogno di parlare per comunicare il proprio messaggio di paura". "Costoro non ne sarebbero forse capaci, e forse articolerebbero dei discorsi mozzi, ma non hanno alcun motivo di parlare per comunicare con gli altri. La costruzione di sé stessi in funzione di produrre nell'altro timore e quindi sottomissione. La piena libertà di quel corpo di fare ciò che gli pare", conclude.