Culture
Amigorena, "Il ghetto interiore": la Shoah raccontata da un figlio lontano
Il pluripremiato romanzo di Santiago H. Amigorena in libreria per Neri Pozza
In quanti modi è stata raccontata la Shoah fino ad oggi? Centinaia, migliaia; eppure non sono mai abbastanza, poiché di fronte a una tragedia collettiva del genere non esiste epilogo, né conclusione adeguata. Tuttavia, la maggior parte dei romanzi che hanno visto come protagonisti gli ebrei vittime di criminali nazisti si sono concentrati sulle atrocità subite dai deportati, sulle condizioni dei campi di concentramento, mantenendo quindi come ambientazione privilegiata l’Europa.
“Il ghetto interiore”, ultimo romanzo dello sceneggiatore, produttore cinematografico, regista, attore e scrittore argentino adottato dalla Francia Santiago H. Amigorena, si distingue invece per l’originale maniera in cui sceglie di raccontare un dramma già ampiamente descritto, analizzato, studiato fin nei dettagli. L’autore, infatti, pone in questo caso le fila del racconto nelle mani di Vicente Rosenberg, un emigrato che è sì ebreo, sì polacco, ma nella sua interiorità non si sente di appartenere a nessuna casta. Forse perché, come più volte sottolinea il protagonista, il semitismo nasce in realtà proprio con l’antisemitismo, creando una categorizzazione mortale, che di fatto non può essere associata né a una razza, né a una religione, né a un popolo, né a un credo politico e neppure a un territorio. Si è ebrei e dunque si muore: ma che cosa significa esattamente essere un ebreo?
Vicente è di origine polacca, ha combattuto al fronte e poi ha preso la decisione di trasferirsi in Argentina in cerca di fortuna. In effetti, qui le cose per lui sono cominciate a girare bene: ha aperto un negozio subito ben avviato, si è sposato, ha avuto due bambini, è circondato di amici e conduce una vita felice, rispettabile. Eppure, lontana dalla sua famiglia.
La madre, il fratello, la sorella, i parenti: sono figure che compaiono di tanto in tanto nella sua mente come echi lontani e talvolta, nei giorni più nostalgici, Vicente immagina di riunirsi a loro, ospitandoli tutti nella sua nuova terra. Arriva persino a proporlo alla madre, che tuttavia rifiuta, ignara di ciò che di lì a qualche anno finirà per accadere. Sarà allora soltanto nel momento del dramma, dunque ormai troppo tardi, che Vicente sentirà sulle spalle tutto il peso di non aver fatto abbastanza per salvare il sangue del proprio sangue.
L’accurata ricostruzione storica si intreccia alle pagine che scandagliano l’interiorità del protagonista e danno voce a quella gabbia interiore di dolore in cui a un certo punto egli decide di rinchiudersi, allontanando da sé il mondo intero. Smette di parlare, di vivere, di lavorare, di amare sua moglie; l’unica cosa che riesce a fare è perdere tutto ciò che guadagna al gioco per dimenticare, per annebbiare il pensiero, nonostante le parole scritte nelle lettere di sua madre siano sempre lì, impresse nella mente.
Toccante, profondo e ancor più interessante perché tratto da una storia realmente accaduta, “Il ghetto interiore” è risultato vincitore del Prix des libraires de Nancy 2019, Prix de la Renaissance Française 2019, Prix Choix Goncourt de la Belgique e Prix Choix Goncourt de l’Italie. Il tema è, certamente, l’Olocausto con le terribili crudeltà a cui vengono sottoposti gli ebrei durante il Nazismo, ma ancora più di ciò, all’autore preme narrare il massacrante senso di impotenza che un familiare oltreoceano possa aver provato di fronte al progredire inarrestabile della storia, senza peraltro avere mai una visione chiara e completa della situazione, considerando la censura delle informazioni.
Allora, di fronte a tanto malessere interiore che non può trovare comprensione né espressione esterna, non resta che chiudersi in un sordo mutismo e attendere che la tempesta passi, lasciando inevitabilmente dietro di sé rovina e disperazione.
“È probabilmente questa una delle caratteristiche più singolari dell’essere umano: così come il corpo, quando si infligge troppa sofferenza o quando è troppo indebolito, si spegne momentaneamente e sviene per potere poi, come una semplice macchina, riaccendersi e ripartire, anche la mente, quando il dolore e l’impotenza sono troppo forti, si oscura, si assorda, si richiude per sopravvivere, o piuttosto perché sopravviva qualcosa. Qualcosa che è ancora umano e che non lo è già più, qualcosa che è ancora noi stessi e che non è già più nessuno”.