Culture

Berlinale, Fatih Akin "soffoca" il festival col suo Golden Glove

Lorenzo Lamperti

Violenza, follia, alcol, sporcizia e tanta disperazione: Fatih Akin sconvolge il festival di Berlino con il suo "The Golden Glove"

BERLINO - Ci sono film che colpiscono come un pugno allo stomaco. Ci sono film che provocano ansia. Ci sono film che fanno provare claustrofobia. E poi c'è un film, "The Golden Glove" di Fatih Akin, che fa tutte queste cose e insieme riesce quasi a far sentire un odore. Odore di miseria, depravazione, alcol, morte, putrefazione. Il guanto, piuttosto che d'oro, è però pieno di sporcizia, Schnapps (il distillato che il protagonista del film beve quasi ininterrottamente) e disperazione. Un guanto che soffoca lo spettatore, portandolo in un mondo di violenza e bruttura dal quale non si riesce a uscire e che rimane attaccato addosso anche dopo la visione.

Akin, regista tedesco di origine turca, torna in quella che è la sua casa, la Berlinale. Qui, al festival di Berlino (in programma dal 7 al 17 febbraio), lui ha già conquistato un Orso d'oro con "La sposa turca" nel 2004. Stavolta sceglie di raccontare la vera storia di Fritz Honka, alcolizzato e serial killer di prostitute, già protagonista del recente romanzo di Heinz Strunk.

Honka è brutto, sporco e si muove barcollando nella Amburgo degli anni '70. Più esattamente nel quartiere di St. Pauli, la più vasta zona a luci rosse d'Europa. Ma le insegne colorate e i locali patinati devono ancora arrivare. Qui il centro del "divertimento" è il "Goldene Handschuh" (Golden Glove), un bar che tiene chiuse le tende anche di giorno per favorire l'alcolismo disperato dei propri clienti.

Ex SS, anziani rimasti soli e vecchie donne pronte a concedersi per un bicchiere in più. Nessuna speranza, nessuna bellezza. Sin dalla prima inquadratura del film non è possibile scappare. Fumo, violenza, odore di morte dappertutto. Nessuna voce morale superiore, nessuna possibilità di redenzione, nessuna motivazione. Solo miseria. E' come se lo spettatore fosse dentro uno dei sacchi in cui Honka ripone i pezzi dei cadeveri delle sue vittime. Chiuso dentro quell'angusto attico che è impossibile da ripulire.

Il film di Akin, come il suo protagonista, non fa nulla per piacere. Sfida lo spettatore con scene forti e al limite del disgusto. Talvolta provoca persino delle risate per la sua grossolanità. Inutile andare a cercare significati filosofici o sociali troppo profondi. "The Golden Glove" è un lurido attico con finestre impossibili da aprire, uno sguardo sporco che non si riesce a evitare, un alito pestilenziale che ammorba anche dopo che ha finito di parlare. Ci sarà chi lo considererà un piccolo cult e ci sarà chi, forse in molti, ne parlerà in modo terribile. Ma una cosa è certa: impossibile che "The Golden Glove" lasci indifferenti.

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