Culture

Sul conflitto. Cultura e reciprocità in Simmel

"Georg Simmel. Un secolo dopo. Cultura, filosofia e politica"

A cento anni dalla morte, Georg Simmel, acuto filosofo, è stato ricordato sia in campo nazionale sia internazionale con giornate celebrative e convegni di studio, tra tutti ricordo quello tenuto a Urbino lo scorso 10 ottobre 2018 su: “Georg Simmel. Un secolo dopo. Cultura, filosofia e politica” organizzato dal professore Antonio De Simone, tra i maggiori interpreti contemporanei simmeliani. E le commemorazioni sono seguite nei giorni 29 e 30 novembre, infatti, è stato celebrato Simmel presso “L'Institut de sociologie de la Faculté des sciences sociales de l'Université de Strasbourg”. Non solo, nel 2018 dopo 110 anni dalla prima pubblicazione è stato riedito e pubblicato da Meltemi (nella collana Biblioteca/Sociologia), uno dei libri che simboleggiano la sua poliedrica personalità: “Sociologia”. Un’opera monumentale tradotta da Giorgio Giordano, e introdotta da Alessandro Cavalli nel 1989, ora curata - con un puntuale e documentato saggio introduttivo - da Massimiliano Guareschi e Federico Rahola. Ebbene, occorre soffermarsi, allo scadere quasi di questo anno affinché il “revival simmeliano” non si fermi qui, visti gli interessi che suscita la sua filosofia sociale o sociologia filosofica perché in fondo di questo si tratta. E andando ben oltre il presunto “impressionismo” attribuito a Simmel dal suo giovane allievo Lukàcs, a Berlino, (A. De Simone, Lukàcs e Simmel. Il disincanto della modernità e le antinomie della ragione dialettica), De Simone delinea in modo definitivo una vera e propria filosofia della cultura: affronta la questione dominante sulla cultura e sulla necessità ineludibile di riflettere criticamente riguardo al “duale” concetto di cultura. Simmel è stato addirittura l’unico filosofo moderno a mettere in luce la differenza di genere e a prendere in esame la novità epocale dei processi di emancipazione della donna. L’affascinante e misteriosa, quanto tragica dualità conduce paradossalmente alla via dell’anima dell’individuo e della società, delle relazioni, del ‘tutto è interessante, nulla è significativo’ che intrappolano, dal momento che tale dualismo giunge a un conflitto insanabile e insolubile, secondo Simmel, e forse in epoca contemporanea lo appare ancor di più; infatti, non offre soluzioni né un ottimismo di maniera. (A. De Simone, La via dell’anima, Meltemi). All’interno di un’azione reciproca, Simmel elabora il conflitto, interpretato da numerosi studiosi tra i quali Alessandro Dal Lago, Massimo Cacciari, David Frisby.

Ecco allora, per scrivere sul filosofo berlinese, è opportuno innamorarsi di lui e nel corso del tempo amarlo per l’eterno, come lo stesso Simmel scrive, nella vita che è più che vita e sempre più vita. Senza fine. Senza soluzioni. Questo è Simmel e questa è filosofia.

E con particolare evidenza, emerge come “La società non spiega ma deve essere spiegata, ponendosi in qualche modo come concetto limite, come generalizzazione trascendentale a cui, a livello empirico-fenomenico, corrisponde la pluralità delle interazioni” (D. Frisby); mentre, la società, Simmel la s-piega, vale a dire la manifesta senza pieghe attraverso l’individuo e i suoi rapporti. Il singolo per crescere e per generare cultura ha bisogno di relazioni, è l’io reciproco nel quale si sperimenta il gioco tra maschere e menzogne nell’insondabile e affascinante segreto. Il suo specchiarsi con sé, con l’altro e con il tutto, insegna a volgere lo sguardo oltre il proprio limite, poiché nel tutto ritrova se stesso, solo dopo aver conosciuto il proprio intimo si può incontrare Dio, ribadisce Eckhart; inoltre, il libro conduce a guardarsi in più modi e da diverse prospettive. È nel molteplice, nella pluralità, che il singolo si riconosce. È evidente che si tratti di un’opera rigenerativa ed efficace se, nell’identità, nello sguardo verso il proprio sé, si rispecchia anche il passato, e si intuisce la ‘scintilla’ del futuro, riscoprendo un nuovo umanesimo e una nuova possibilità di riscatto per l’intero genere umano. (A. De Simone, L’io reciproco. Lo sguardo di Simmel, Mimesis). È nelle costellazioni filosofiche si anima tale quotidianità delle relazioni e nel conflitto si riverberano anche altre forme come lo straniero, il migrante, il mediatore, il povero. Parlano, dunque, Guareschi e Rahola nel libro Sociologia, dell’incontro e dell’intersezione di forme che contraddistinguono la realtà sociale, spingendo alla ricerca di un impossibile punto di vista archimedeo o iperuranico in grado di comprenderne l’unità superiore, e quindi anche la particolare ambivalenza, l’et/et che caratterizza l’idea at large di sociazione. In tale gioco delle relazioni di forme, in uno spazio sociale in cui si disvelano per l’appunto, le antinomie della reciprocità nella società dei conflitti. La nostra. Sebbene c’è chi pone - costruendo ponti e porte e osservando con gli occhi e con gli orecchi, attraverso una sociologia dei sensi (A. De Simone, L’ineffabile chiasmo), una possibile soluzione (mai definitiva) di giungere dal conflitto alla pace. A riguardo, e in virtù dei 100 anni dalla pubblicazione di Der Konflikt der Modernen Kultur di Georg Simmel, la rivista “Scienza e Pace”, curata da Tiziano Telleschi dell’Università di Pisa, dedica tempestivamente il volume monografico n. 9 a Georg Simmel, presentato lo scorso 29 novembre presso l'Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche della suddetta Università. Apre il numero Antonio De Simone con il contributo dal titolo “Georg Simmel. Il conflitto nell’ontologia dell’umano” e, attraverso gli originali saggi di Simmel, l’autore ci aiuta a comprendere perché il fluire dinamico della vita e della storia, l’io fallibile, reciproco, non si possiede mai totalmente con sé come identità, affidabile e sicura. Ciò non traduce una negatività che si disloca nel mezzo, tra il negativo e l’io: cioè l’alterità, il navigante nell’in-finito. Il non-proprio-dell’io, giammai identico a sé, è fatto e generato dall’altro, nel conflitto. Come per Hegel, anche per Simmel l’io è costituito dal rapporto con l’altro. Un’alterità che lo (ri)compone e lo erode nella vita delle forme dell’io reciproco. Non si può pensare-di-pensare la vita come flusso in cui si dislocano la coscienza, i corpi e le cose fuori da questa relazione. Le trame di tale intrico fanno sì che la vita, la società, la filosofia, la politica, la scienza e l’arte, cioè la cultura, possono farci ri-conoscere come soggetti individuali di desiderio, di potere e di sapere, nel nostro limite, in un’ontologia dell’umano e del sociale non depoliticizzante, in cui il principio reciprocità assurge a dimensione costitutiva dell’inquieto divenire dell’essere, a cui non ci si può sottrarre dal momento che l’umano è un essere imperfetto e mancante. E poi, ancora, il “Senso del vivere e conflitto. Georg Simmel interprete inattuale della contemporaneità” di Francesco Mora che considera l’idea di conflitto letto attraverso la Lebensphilosophie simmeliana, manifestandosi come problema centrale della sua filosofia. Infatti, il conflitto vita/forma riassume in sé tutti i singolari contrasti che segnano l’esistenza dell’uomo. A partire dall’idea di cultura e della sua crisi, attraverso alcuni snodi determinanti della filosofia simmeliana, si sono investigati alcuni momenti della sua produzione, al fine di mettere in luce la dialetticità e l’eternità del conflitto nella vita, divenuta il «re nascosto» della nostra Kultur. Angelo Zotti invece, con l’intervento “Simmel, il conflitto e le sue molteplici forme. Un’analisi critica”, pone l’obiettivo di capire le diverse modalità con cui, in una prospettiva sociologica, ci autorizza a elaborare una precisa tipologia delle forme sociali in cui il ‘contrasto’ tra individui si manifesta; sono enucleati inoltre, gli interventi di Jorge Arzate Salgado, Claudius Härpfer, o anche Annalisa Tonarelli che con “Rileggere oggi ‘il Mediatore’ di Simmel”, interpreta la figura del mediatore come funzione integrativa del conflitto, sino a concludere il numero della rivista H. Augusto Botia Merchán, Einer Mosquera Acevedo, i quali analizzano gli sviluppi conclusivi del conflitto armato tra lo stato colombiano e le FARC: “La recente fase di cambiamento è stata caratterizzata dalla pugnacità dei partecipanti al dibattito politico sul processo di pace con la principale organizzazione insorgente del paese. La riflessione su come terminano i conflitti è ispirata alle teorie di Georg Simmel”. Aspetto non irrilevante che fa comprendere in modo esplicito quanto Simmel sia attuale. Sulla questione del conflitto è opportuno aggiungere, si sono occupati anche altri nomi influenti del panorama nazionale e internazionale, in passato, studiosi come Giuseppe Rensi e Antonio Banfi, grazie ai quali abbiamo conosciuto Simmel in Italia. E allora, si tratta forse di capire l’essere umano così come è con il suo fondo di oscurità, come si possano costruire le condizioni di un vivere comune malgrado il conflitto e anzi, attraverso il conflitto, mettendo fine al sogno o all’incubo di chi vorrebbe eliminare da lui tutto ciò che vi è di ingovernabile (A. De Simone). Ed è qui, il punto cruciale, il leit motiv della filosofia, sociologia, psicologia, pedagogia simmeliana: accettare il conflitto, il limite di una reciprocità che nasce tra l’io e l’altro in sé e fuori da sé. E questo è ben chiaro nella Sociologia ed è altrettanto comprensivo negli scritti simmeliani come ne La differenziazione sociale: la vita esiste in quanto esiste la morte. Si tratta di un limite incontrovertibile che l’umano non riesce ad accettare, o meglio a carpire quell’ermeneutica della parola e della fenomenologia di vita, di conflitto, di morte, accolta invece, da Simmel in modo disincantato, persuaso dal fatto che senza di essa non avrebbe potuto vivere né amare la vita. Lui era un amante della vita, folgorato da un’energia e spinta vitale ‘senza fondo’.

Georg Simmel è il borderline della contemporaneità: include nelle differenze, esclude in uno spazio complesso e unitario, vitale, in una scomposizione prismatica che ridefinisce tanto i territori sociali e politici quanto le forme dell’appartenenza, come hanno scritto Massimiliano Guareschi e Federico Rahola. Lo straniero non esiste e lo ha dimostrato con la vita, piuttosto uno scomodo pensatore. Una personalità che anche nell’odierno avrebbe creato non poche reazioni. Pertanto, sembra doveroso concludere con un grazie di benvenuto alla grande Soziologie, e in un’azione reciproca, si conferisca gratitudine per un bilancio complessivo e critico accurato nella ricezione ad opera di Guareschi e Rahola, abili a fornire una cornice dettagliata del tessuto culturale vissuto da Simmel, oltre a una particolareggiata cura nella suddivisione in dieci capitoli e a un folto excursus che consta di ricerche e studi rivolti a un ampissimo spettro sociologico, filosofico e politico.  

Un grazie inoltre, a tutti coloro i quali si sono occupati e ancora continuano a interessarsi dell’eclettico pensiero simmeliano.  

Grazie. Lo direbbe anche il Maestro.

Alessandra Peluso