Culture
"Mio padre scriveva i decori funebri: così io combatto la morte con le parole"
Membro della Società Milanese di Psicoanalisi e direttore dell’Irpa, lo psicoanalista Massimo Recalcati racconta su Affari le sue fatiche letterarie più celebri
Racconta in “A libro aperto”, di come la scrittura calligrafica di suo padre per le corone funerarie, in caratteri d’oro, sia stata la porta d’ingresso ai libri. Suggestione forte, che fa pensare al tema dell’eredità che ha affrontato anche nel volume “Il complesso di Telemaco.”
E’ un ricordo della mia infanzia, è la mia scena primaria, come direbbe Freud. Scoprivo di notte mio padre, fiorista di paese, scrivere con una pittura d’oro le frasi con le quali i parenti del defunto lo salutavano sui nastri che addobbavano le corone di fiori. La scrittura per me è un modo per ritardare la morte, per rinviare il suo marchio. In questo senso ho ereditato il lavoro di mio padre… Scrivere, creare, generare è un modo per non lasciare alla morte l’ultima parola. Per questo per me negli anni scrivere è diventato come respirare. Non lo sanno coloro che mi criticano perché pubblico troppi libri… La mia grafomania ha in realtà questa origine intima: spiare nella notte mio padre nel suo corpo a corpo con l’ombra spessa della morte. Mettere dell’oro sulla sua ferita.
“La violenza barbara della guerra può esistere solo perché la lezione del libro non è stata ascoltata.” Di un’attualità sorprendente…
La lezione del libro è quella del pluralismo delle lingue, è quella del mare aperto. Non esiste una sola lingua, non esiste un solo libro. Esseri umani significa essere esposti alla necessità della traduzione, alla moltiplicazione delle lingue. E’ lo strano miracolo della Pentecoste. Ogni lingua deve essere rispettata nella sua particolarità ma nessuna lingua può imporre questa particolarità sulla particolarità delle altre lingue. E’ il miracolo della traduzione come esercizio che non ha mai un termine definitivo.