Culture
"Mio padre scriveva i decori funebri: così io combatto la morte con le parole"
Membro della Società Milanese di Psicoanalisi e direttore dell’Irpa, lo psicoanalista Massimo Recalcati racconta su Affari le sue fatiche letterarie più celebri
I libri possono essere degli incontri. Accade quando noi ci sentiamo letti. Allora è il libro che assomiglia ad un coltello che ci taglia più che a qualcosa che noi assorbiamo. Succede quando attraverso un libro incontriamo una parte sconosciuta di noi stessi, quando, appunto, il libro ci tocca. I libri che non abbiamo dimenticato sono i libri che ci hanno letto. Dovremmo capovolgere un’idea ingenua della fruizione dell’arte. Non sono io che guardo un quadro o che ascolto un brano musicale, ma è il quadro che mi guarda, è il brano musicale che mi ascolta. Allo stesso modo non sono io che leggo il libro ma il libro che mi legge. Succede, appunto, quando facciamo un incontro. Siamo toccati, colpiti, urtati, ammaccati, spostati.
Sembra che ci sia un filo conduttore nella sua Opera, l’amore in primis, e poi la resistenza, l’eredità. E’ così?
Sì, sono tutti e tre temi a me molto cari. L’amore è ciò che rivela la potenza della contingenza dell’incontro, ciò che mostra come un incontro può cambiare il destino della nostra vita. In questo senso poco fa ho detto che ogni incontro degno di questo nome è un incontro d’amore. Nel senso che la nostra vita è fatta da tutti gli incontri che abbiamo fatto. L’eredità implica esattamente questa responsabilità di fondo: cosa hai fatto degli incontri che ti hanno fatto? L’ereditare non è un movimento passivo di acquisizione di beni, rendite, proprietà, geni, ma un movimento attivo in avanti, dare una forma nuova a tutto quello che ci ha costituito. Per questa ragione il giusto erede è sempre eretico. Perché dà una forma imprevista, nuova appunto, a tutto ciò che lo ha costituito. Questo è anche un’espressione della vita come resistenza alla tentazione nei confronti della morte, dell’odio, della violenza, della distruzione.