Culture

Selfie, ecco perché ce li facciamo (davvero)

In libreria "People are media. Il business digitale nell'era dei selfie"

GIOVEDÌ 8 FEBBRAIO 2018, ALLE ORE 18 IN MONDADORI STORE DI PIAZZA DUOMO A MILANO, CI SARA’ PRESENTAZIONE AL PUBBLICO DEL LIBRO ALLA PRESENZA DEGLI AUTORI

 

Vi siete mai chiesti perché ci facciamo i selfie, davvero? E come l’avvento dell’era digitale ha rivoluzionato il mondo, e il modo, in cui viviamo? Di certo siamo diventati più superficiali, disattenti, attratti continuamente da stimoli nuovi, per lo più attraverso quel piccolo schermo che abbiamo continuamente in mano. Ma mai come ora siamo pieni di input, suggerimenti, opportunità. Viviamo ufficialmente nell’ era della distrazione.

“Buongiorno. Mi chiamo Aldo e mi chiamo Silvio.

Sono l’ultimo modello di Homo Sapiens, figlio dell’età digitale.

Brandisco uno smartphone, con cui faccio foto al contrario, nel senso che inquadro me stesso con uno sfondo.

Ho mille amici che non conosco nemmeno, e grazie alla mia totale devozione alla reperibilità̀ lavoro ventidue ore al giorno.

Poi tornando a casa vado al supermercato, o su internet. E acquisto prodotti. E spendo soldi.

Questo libro parla delle cose che ho appena messo nel carrello, e di come ci sono finite.”

Questo si legge nell’introduzione di People Are Media, il libro di Aldo Agostinelli e Silvio Meazza edito da Mondadori Electa, dove gli autori esplorano il business digitale nell’era dei selfie, analizzandone le potenzialità e i rischi. Il libro nasce da riflessioni e conversazioni degli autori coinvolti professionalmente e personalmente nel mondo digitale moderno.

Un resoconto puntuale dell’evoluzione tecnologica, e al tempo stesso sociologica, degli ultimi anni; come scrive Marco Montemagno nella prefazione al libro, sono “le persone: protagoniste di questi cambiamenti e anche il medium (il mezzo attraverso il quale queste rivoluzioni sono possibili) che le vive, le racconta e le condivide.”

E quelle persone, trentanove milioni gli italiani su internet che navigano sei ore al giorno da computer e due da cellulare, con i loro comportamenti sono una miniera d’oro per le aziende e il business. Un continuo cambiamento anche da parte dell’industria che deve adattarsi al nuovo panorama digitale dove la customer experience in tempo reale gioca un ruolo sempre più fondamentale.

People Are Media vuole essere uno snapshot preciso sul mondo digitale, di cui facciamo tutti parte, di cui è impossibile fare a meno e che sta segnando il secondo decennio degli anni Duemila.
La rivoluzione digitale è appena cominciata.

People are Media è in vendita in tutte le librerie al prezzo di 19.90€ e su AmazonI proventi del libro saranno interamente devoluti in beneficenza a Libera Associazione, nomi e numeri contro le mafie.

 

Gli autori

Aldo Agostinelli
Ha maturato una lunga esperienza nelle direzioni marketing e digitali di molte aziende italiane e internazionali: dal 2010 al 2013 è stato digital marketing director di Hewlett Packard a San Francisco. In precedenza ha lavorato per aziende come H3G, TIM, Ericsson e INA Assitalia. In Sky Italia dal 2013, è stato nominato nel 2016 Digital Officer. Aldo ricopre anche la carica di vicepresidente dell’associazione IAB Italia.

Silvio Meazza Nasce come software designer e IT Manager. Nella comunicazione dal 1998. Ha superato con difficoltà, ma indenne, il Millennium Bug, la prima bolla di Internet, la crisi del 2008 e la morte di David Bowie. Tra il 2000 e il 2009 ha gestito 4 agenzie digitali all’interno di tutti i principali Gruppi di Comunicazione (tranne WPP), lavorando per clienti e brand quali Renault, BMW, Fiat, Seat, Deutsche Bank, Intesa San Paolo, Unicredit, Mars, P&G, Ferrero, Sky, Telecom Italia, Fastweb.

Nel 2010 ha fondato, insieme a 4 soci, M&C SAATCHI Milano. Oggi l’agenzia ha un team di più di 100 persone, 4 leoni di Cannes, una bellissima sede accanto a un cinema, e alcuni tra i più bei clienti d’Italia. Silvio ha 2 figli, Federico e Filippo, che prendono 6 in Informatica ma 9 in Italiano. Ama cucinare, l’arte del 900, Venezia, il cinema, e quel momento incredibile in cui dopo avere scelto file->nuovo si apre una pagina bianca con un cursore che lampeggia.

LEGGI UN ESTRATTO SU AFFARITALIANI.IT

People are media interna
 

SELFIE

Ma perché la gente si fa i selfie? Perché il selfie è la mia bandiera sulla Luna. La tacca sul biplano del Barone Rosso, l’esplicitazione del tag.Un tempo facevo la foto per poi dire: “Oh, che bella Venezia”.Poi ho cominciato a taggarmi a Venezia, e scattavo la foto. Magari una fotografia un po’ “strana”, con un’angolatura insolita e un filtro che esaltasse i colori, o li eliminasse, per avere più like. E alla fine è questo il vero motivo che mi spinge a fotografarmi quando vado a Venezia: mettere lo scatto su Facebook. Quindi tutto si inverte: ora la mia faccia è protagonista, con lo sfondo di Venezia, di Rotterdam, di Machu Picchu, o di altri posti incredibili, magari difficilissimi da raggiungere. Ma sempre con la mia faccia davanti. La mia, la nostra bella faccia.

Fossi bello, sarebbero foto bellissime.Alla base di tutto questo ci sarebbe una motivazione sociale: come scrive Francesco Bianconi dei Baustelle nella canzone A vita bassa,è “l’antidoto che ho a un futuro anonimo”.C’è un’evidente insicurezza di fondo che pervade la nostra società,e che – chi più chi meno – accomuna tutti noi. Il selfie pubblicato porta i “Like” su Facebook, o i commenti positivi e/o invidiosi degli amici su WhatsApp, che compensano i dubbi che ho su me stesso.Ma qual è il motivo vero per cui si fanno i selfie?E in che modo questa cosa influenza le nostre vite? Dando per assodato il fatto che il successo nel “mondo digitale” si raggiunge quando qualcosa diventa – usando una parola di vent’anni fa – virale,è lecito domandarsi cosa scateni la viralità. E soprattutto mi domando se la mia faccia abbia il potere di farlo.

La mia bellissima faccia, protagonista, nella testimonianza documentata del mio essere hic et nunc, cittadino di questo “punto esatto taggato di mondo”, con questo punto esatto come sfondo. Qui e ora.Ian Mortimer nel suo Il libro dei secoli,1 propone una teoria molto interessante, che riconduce l’inizio dell’Illuminismo all’invenzione della manifattura moderna degli specchi, e quindi una presa di coscienza del proprio essere basata sul riconoscimento della propria immagine e del proprio valore.Nell’Ottocento vengono scoperti i sali d’argento e si comincia a produrre specchi a un costo decisamente più basso rispettoa quello dell’argento e dell’oro, di cui sono fatti gli specchi rinascimentali, e un numero sempre maggiore di persone vede finalmente la propria faccia, per la prima volta, in modo nitido.Può sembrare una sciocchezza, ma è un cambiamento pazzesco, quanto i selfie di cui abbiamo parlato poco prima (ogni epoca ha il cambiamento che merita, del resto. O tempora, o mores...).

Per la prima volta nella storia dell’umanità, dopo intere esistenze passate a non sapere che aspetto si aveva, vengono “distribuiti” milioni di facce. Da qui alla “presa di coscienza di sé” il passo è breve.