"A viso coperto", gli anti-eroi di Gazzaniga cercano nel "branco" libertà e dignità - Affaritaliani.it

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"A viso coperto", gli anti-eroi di Gazzaniga cercano nel "branco" libertà e dignità

RiccardoGazzaniga

di Antonio Prudenzano
su Twitter: @PrudenzanoAnton

Prima di pubblicare "A viso  coperto", riuscito romanzone d'esordio in libreria per Einaudi Stile Libero dopo aver vinto il premio Calvino 2012 (il più importante riconoscimento per chi aspira al debutto letterario), Riccardo Gazzaniga ha scritto numerosi racconti e ha partecipato a vari piccoli premi. A un certo punto lo scrittore ha deciso che era arrivato il momento di confrontarsi con la dimensione del romanzo, e ha deciso di raccontare in un libro la sua esperienza quodidiana: Gazzaniga, che ha 36 anni e che vive a Genova, è infatti Sovrintendente della Polizia di Stato, e lavora nella caserma di Bolzaneto.

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"A viso  coperto" dà voce al punto di vista degli ultrà e a quello dei celerini. L'autore guarda molto da vicino a questi due mondi, solo apparentemente distanti, e dà vita a un romanzo ricco di personaggi con storie difficile alle spalle e fatto di scontri, spesso molto violenti, che l'autore ha conosciuto da vicino (più volte, come ha raccontato anche a Le Invasioni Barbariche, Gazzaniga si è ritrovato a dover gestire situazioni difficili). Ma "A viso  coperto" è anche un meta-romanzo su un poliziotto che sta lavorando proprio a un libro sul complesso mondo degli ultras.

Composto da 162 brevi capitoli, l'esordio di Riccardo Gazzaniga  è scritto da un narratore già maturo, abile nel tenere il ritmo, nell'alternare i punti di vista e nell'offrire dialoghi credibili. Gazzaniga evita di dare giudizi e anzi non nasconde i lati oscuri dei "buoni" (sullo sfondo c'è anche l'ombra del G8 di Genova, spartiacque per la storia della città e della stessa polizia italiana). Il suo è un libro vivo, in cui si entra nell'anima di un gruppo personaggi alla deriva, anti-eroi che nella violenza, nel cameratismo, nello spirito di gruppo, nella voce del "branco", cercano quella libertà (e quella dignità) che la vita ha negato loro.

RiccardoGazzaniga

LEGGI SU AFFARITALIANI.IT IL 12ESIMO CAPITOLO
(per gentile concessione di Einaudi Stile Libero)

Portaci tre medie chiare, – disse Ferro. La ragazza del pub annotò e se ne andò. – Allora, che vi sembra delle nuove divise? – Ferro indossava una maglia aderente che faceva risaltare il fisico asciutto, nervoso. Era alto solo un metro e settanta, ma in caserma nessuno si sarebbe messo in competizione con lui. Praticava un’incredibile varietà di sport, con spiccata preferenza per i meno comuni e piú pericolosi: paracadutismo, discese in mountain bike, windsurf, sci alpinismo, arrampicata. Per non farsi mancare un’ulteriore dose di ebbrezza, ogni tanto si sfogava in autostrada con la sua Ducati rossa. – Che ne so, quest’estate siamo morti di caldo. Adesso invece ci tocca patire il freddo, – rispose Gianluca. Gli occhi azzurri, i capelli biondi e il naso un po’ aquilino lo facevano somigliare lontanamente al simbolo della romanità: il grande capitano Francesco Totti. Accanto a lui troneggiava Mario Bozzano. Non era un caso che lo chiamassero «Marione». Si passò una mano sui capelli, che portava cortissimi per nascondere quelli che mancavano. A trentatre anni la calvizie si poteva accettare e comunque a lui non era mai fregato molto del suo aspetto. – Io non capisco chi cazzo le ha concepite. Dopo tutti i test e le relazioni che abbiamo scritto, tirano fuori ’sta cosa? Ci voleva tanto a pensare che a quaranta gradi con le maniche lunghe e un giubbetto di plastica sopra non si può stare? Ma porca troia… Ferro scuoteva la testa. – Lo sai come fanno. Comprano stock di roba e quando poi saltano fuori i problemi ce li dobbiamo tenere. Come con i furgoni nuovi. Nessuno ha pensato che non si possono trasportare dei cristiani in un vano senza finestrini. Prima li hanno comprati, poi se ne sono accorti. – E consumano come una Ferrari. Ci rompono il cazzo con i costi e l’ecologia, poi giriamo su un furgone che fa otto chilometri con un litro. Boh, non ci provo nemmeno piú a capirli, – disse Marione. Fra i tre era il piú alto in grado, con la qualifica di sovrintendente. Ferro invece era assistente, Gianluca solo agente. – Vabbe’, dài, la divisa qualche lato buono ce l’ha… Tipo il jacket e le protezioni. E poi stiamo meglio, siamo piú uniformi. Prima sembravamo delle zecche comuniste, – commentò Ferro sputacchiando il nocciolo di un’oliva. – Andavamo in giro tutti diversi, ognuno vestito come cazzo gli pareva. Arrivarono le birre. Gianluca fu il primo a bere. – Raga’, io non sono anziano come voi, – attaccò. – Però ha ragione Ferro: a livello estetico stiamo meglio di prima. Facciamo meno schifo, per strada –. Sorrise mostrando i denti bianchi e perfetti. – E poi il manganello è piú rigido, – aggiunse Ferro. – Tiri certe frustate, con questo. Altro che il vecchio, quello sembrava liquirizia! – Sí, ma spiega al ragazzo che deve stare attento col manganello, – fece Marione, indicando il collega piú giovane. – Se arrivano gli avvisi di garanzia sono cazzi amari. – Com’è finita poi, per te? – gli chiese Gianluca cercando di prenderlo dal verso giusto. Marione non era esattamente un tipo facile. – Mi hanno assolto, stop. Però i seimila euro di avvocato ancora me li devono rimborsare. E gli anni che mi sono roso il fegato... quelli non me li restituisce mica nessuno. Tacquero per un istante tutti quanti, come riflettessero sul peso di quell’affermazione. – Noi non ci siamo mai tirati indietro, Gianlu. Ma la verità è che se succede un guaio poi ti ritrovi da solo, – disse Ferro. Marione annuí. – Meglio che ti rompano la testa, che forse si aggiusta. Ma se finisci sotto processo… Non voglio neppure ricordarmelo. – Okay, però dipende da con chi stai, giusto? Voglio dire, dal caposquadra, dai colleghi, da chi c’hai vicino, insomma. L’importante è stare uniti e in questura mi dicevano sempre che al reparto c’è piú unità. Anche per questo mi sono fatto trasferire. Marione scosse appena la testa. – Forse una volta era cosí, ma adesso… Anche qui ci sono pochi compagni di cui fidarti davvero. Ferro fece una smorfia schifata. – Compagni? – Vabbe’, dài, hai capito. Il problema è che ci sono le telecamere, i telefonini e tutto il resto. Bisogna stare attenti a non combinare cazzate, perché questi subito ti riprendono e i magistrati non vedono l’ora di piantarcelo in culo. Quei bastardi. Manco andassimo fuori a divertirci. – Be’, insomma, qualche volta ci divertiamo anche… – ghignò Ferro, strizzando un occhio. Mario accennò un sorriso, Gianluca stava in silenzio, con la faccia un po’ perplessa. Ferro gli piazzò una mano sulla spalla e la scosse. – Stai tranquillo. Non parliamo mica per spaventarti, collega. Ma a fare i discorsi belli sono capaci tutti, la realtà poi è diversa. Prima c’erano gli ausiliari, ma da quando hanno tolto il militare siamo invecchiati. La gente c’ha famiglia, figli, mutui da pagare. È logico che uno fa un passo indietro, piuttosto che stare in prima fila. Dovremmo essere cosí anche noi, che tanto mica ci dànno la medaglia. Poi però, quando c’è uno scontro, ci buttiamo dentro con gli occhi fuori dalle orbite! Marione sorrise e bevve cercando di rilassarsi. Lui e Ferro erano piú che amici. Insieme avevano vissuto situazioni che un civile non avrebbe nemmeno potuto immaginare. Si erano trovati in decine di scontri negli stadi e manifestazioni nelle piazze, quando potevi contare solo sul collega che ti stava di fianco, se era un amico, altrimenti nemmeno su quello. Circa la lealtà di Ferro, Marione avrebbe messo la mano sul fuoco. Molti colleghi avevano cambiato atteggiamento da un giorno all’altro, dopo l’avviso di garanzia. Lo avevano evitato, come uno con la peste. Ferro, invece, c’era stato. Si era sorbito tutti gli sfoghi di Marione, aveva condiviso con lui gli incontri con il legale e pure le udienze, tirandosi dietro anche altri ragazzi del reparto. Per far numero, per non lasciarlo solo. Aveva ascoltato la sentenza accanto a lui, esultando per l’assoluzione. Tutto questo Marione non lo avrebbe mai dimenticato. Chissà, forse pure Gianluca era uno di cui fidarsi, anche se era giovane e veniva dalla questura. Ci sarebbe voluto tempo, perché Marione era diventato diffidente. Però sembrava un ragazzo a posto, non come certi che arrivavano adesso a cui non fregava nulla del lavoro né dei colleghi. Gente che pensava solo a rifarsi le sopracciglia e ad andare per figa nei locali. Bevvero ancora e finirono le birre. – Raga’, comunque spero che lo sappiate: io al reparto ci volevo venire da sempre. Volevo fare ’st’esperienza. E ci sto bene, per adesso. Dovete contare anche su di me, – disse Gianluca serio. – Buono a sapersi. Ma a parole è facile, – disse Marione. – E daje! Però cosí mi offendi! – ribatté Gianluca fissandolo esasperato. Marione lo zittí con un cenno della mano. – No che non ti offendo. Dico solo le cose come stanno, per chiarirti il concetto. Dài retta a me, che ho passato quattro anni di merda per quel processo. Ferro annuí con solennità. – Ora basta, passiamo alle cose serie: guarda che culo quella là! – disse indicando una ragazza appena entrata e gonfiando il petto. Risero tutti e chiesero un altro giro di birre.

(continua in libreria)