Culture
Il romanzo/ Raffaella Romagnolo racconta l'adolescenza con profondità

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A sedici anni tutto è da scoprire, la vita è ancora intera, possibile, e il futuro un’opportunità. Così anche per Paoletta, che di avere “tutta la vita davanti”, però, non è entusiasta. Forse perché odia le frasi fatte o semplicemente perché è diversa dalle altre ragazze: detesta Facebook, legge Anna Karenina, filosofeggia su Harry Potter, invece delle sit-com guarda vecchi film, si ingozza di dolci infischiandosene della bilancia e allo shopping con le amiche preferisce di gran lunga le passeggiate silenziose con il fratello minore, Richi. O forse è proprio lui a renderla diversa: Richi ha dodici anni, le gambe così fragili che possono reggere solo pochi passi strascicati, un braccio difficile da controllare e una vita tanto più complicata davanti. Non parla molto, e quando lo fa, non sempre gli altri lo capiscono. Ma Paoletta sì; brevi frasi che hanno, per lei, il sapore della sincerità che manca nella villa di famiglia. Un’autentica prigione. Una tortura di menzogne, cose non dette, segreti pericolosi, da cui la ragazza scappa ogni volta che può. E insieme a Richi attraversa il confine, immaginario eppure così reale, che divide lo splendido giardino di casa loro dalle Margherite, il quartiere popolare, dove gli appartamenti sono modesti, le giostrine arrugginite e i padri non sono imprenditori di successo ma cassintegrati in difficoltà. E dove c’è Antonio, anche lui, a modo suo, diverso. L’unico, a parte Richi, che sa leggerle dentro e che l’aiuterà, almeno per una volta, a lasciarsi trovare...
L'AUTRICE - Raffaella Romagnolo, nata a Casale Monferrato nel 1971, vive a Rocca Grimalda con il marito. Ha scritto L’amante di città (Fratelli Frilli, 2007) e, per Piemme, La masnà.
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(per gentile concessione di Piemme)
Io sono brutta. È la verità, e la verità non si discute. Non che non abbia qualità: per esempio non sono vigliacca, non cerco scorciatoie, so affrontare la realtà. E la realtà è che sono brutta. Inguardabile. Orrenda. In assoluto, non solo in confronto alle ragazze che conosco. Nonna dice che non è vero. «Alla tua età, si è tutti belli» dice. Intanto sfoglia «Chi» oppure «Donna Moderna» oppure «Casedaricchi». Mi aspetto che da un momento all’altro se ne esca fuori con qualcosa tipo: «Di che ti lamenti? Cosa ti manca rispetto a queste?». Queste sono le ragazze fotografate sui giornali, e cosa ti manca è una frase che non sopporto. Quello che pensa mia nonna, comunque, non conta, perché lei somiglia a mia madre. Stesso fi sico, stessi occhi. Le ragazze di «Chi», da vecchie, diventeranno come lei. Le più fortunate. Certi giorni che arriva con la piega fatta, il bianco fi ammeggiante come un’aureola intorno all’ovale abbronzato, i pantaloni a sigaretta e i mocassini di pitone, sembra appena uscita dalla pubblicità della colla per dentiere o degli assorbenti per le gocce di pipì. Infatti la corteggiano in parecchi, dalla morte di mio nonno, e non solo per i soldi. La portano a cena in riviera, poi lei racconta a me e a Richi del cabinato e dell’astice al Madera. Io sono contenta, perché tutto sommato è una brava nonna, ci racconta le sue avventure, non si fa venire gli svenimenti se per caso deve rimanere una mezz’ora sola con Richi e, in generale, è simpatica e mi fa un sacco di regali. Ma anche se nonna mi piace, lei non è me, non è mai stata me, non sa cosa vuol dire sovrappeso, e certo non morirà obesa. Non sa nulla della progressione continua dal giorno del mio nono compleanno, quando ho sfondato il tetto dei quaranta chili e mamma ha reso il momento indimenticabile strillando: «Ma Paoletta! Se continui così a diciott’anni ne peserai ottanta!». Dammi tempo, Ma, ce la farò. In fondo mancano solo due anni, due mesi e tre giorni, e questa mattina ho già un paio di chili in più. Un gran risultato, in un giorno solo, roba da professionisti. È bastato approfi ttare della tradizione di famiglia, la Pasquetta con i Marini, i Della Vedova e il ragionier Capotondi. Ho ignorato le occhiate di mamma, con piglio energico ho abbinato correttamente grassi, carboidrati e proteine. Entrée fredde e calde, tra cui ben quattro capesante in crosta di besciamella. Poi risotto alla bisque di scampi (porzione imperiale), poi rosticciata di mare e di terra con patate al forno e verdure al gratin, mousse all’amaretto in crema di zabaione, colomba e piccola pasticceria. Un mignon per tipo, totale dodici. Per chiudere, uovo di cioccolato fondente decorato con fi orellini di gianduia e pupazzetti di zucchero. Nel salone nessuno badava a me, un pezzettino alla volta ne ho fatto sparire almeno tre etti. Ero talmente gonfi a di cibo, che ho saltato la cena, e questa mattina la bilancia ha trillato din! din!, come nei telefi lm americani la cassa del minimarket. È un gioiellino supertecnologico, mamma l’ha sistemata nel mio bagno tre mesi fa, su consiglio di Francesco, il suo personal trainer. Imposti il tuo profi lo, inserisci sesso, età e altezza, e la bilancia calcola il tuo IMC, l’Indice di Massa Corporea, cioè la quantità di ciccia superfl ua. Din din lo fa solo se, dalla pesata precedente, c’è una variazione superiore al chilo. E sono molto diligente: negli ultimi dieci giorni già due din din. Puoi controllare l’andamento su un sito web, perché la superbilancia spara in Rete i grafi ci del grasso che avanza. Quando visualizzi la tua pagina personale, il sistema ti dispensa deliziosi consigli, perfetti per il tuo IMC fresco di giornata. «Benvenuta Paola De Giorgi! Ricordati di non mangiare mai dolciumi dopo le diciotto.» «Un’idea per uno spuntino light? Succo di pomodoro! Ti aiuterà ad abbassare il tuo IMC!» «Il tuo IMC oggi è 24,06. Dovresti abituarti a camminare ogni giorno almeno sessanta minuti a passo svelto!» Questo, mamma deve averlo letto, secondo me l’idea le è venuta di lì. «Un’ora al giorno, Paoletta. A passo svelto. Porta anche Richi, così non ti fermi. E fagli fare un po’ di conversazione. Sai quanto gli serve.» Povera illusa. È che mammina ci tiene a me, conosce la password e tiene d’occhio i miei progressi più spesso di quanto non controlli i miei voti. Quindi oggi prevedo grosse scocciature, visto che settantacinque chili per un metro e settantaquattro dà come risultato un IMC di 24,77. Ieri stavo a 24,11. A 30 sei fottuto, obesità di primo grado. Quando fi nalmente farò il grande balzo, grazie ai superpoteri della superbilancia, lei lo saprà real time. Contenta, Ma? Grazie Francesco, bell’idea. La ciccia sarebbe un intoppo superabile con Determinazione, Costanza e Forza di Volontà, ma purtroppo non è che il primo dei miei problemi. Il secondo è che ho le gambe storte. Le ginocchia si toccano, è come se avessi un’unica enorme cosciona molliccia. Quando cammino, più che avanzare ondeggio, sembro un budino. Questa delle gambe storte l’ho scoperta da poco, guardando il video (l’ho salvato prima che Facebook oscurasse il gruppo). Da quando è successo lo rivedo almeno una volta al giorno. Ci salgo sopra come sulla superbilancia e controllo l’effetto che fa alla stanghetta dell’umore: Taglio Delle Vene, Fiume Di Lacrime, Furia Omicida, Tristezza Inconsolabile, Malinconia Lieve eccetera. All’inizio, due settimane fa, la stanghetta schizzava immediatamente al livello Taglio Delle Vene. Adesso lo reggo perfettamente, e ieri, prima volta, per qualche secondo ho raggiunto quota Indifferenza Totale. Questione di Determinazione, Costanza, Forza di Volontà. Ormai lo conosco a memoria, chiudo gli occhi e riesco a visualizzarlo. Anche adesso, anche qui fuori, per dire, mentre aspetto che Nina fi nisca di preparare Richi. Strappo una foglia di gelsomino dalla griglia del patio e vedo il distributore automatico di bevande. Stropiccio la foglia e mi vedo arrivare. Ho tutto il tempo di osservare la monocoscia, i piedi in fuori, l’andatura da foca, poi il primo piano slitta sulla faccia. L’attesa. La Personifi cazione dell’Attesa. Il video dura tre minuti e dieci secondi, ma nella realtà l’Attesa è durata molto di più, ho calcolato almeno dodici, che, moltiplicato per tre volte, fa trentasei minuti di reale umiliazione condensata in tre minuti e dieci secondi di sputtanamento virtuale. Senza audio. Perché? Perché non hanno registrato anche i rumori, il chiasso dell’intervallo, la campanella? L’effetto è esplosivo, astronauta nello spazio, vero e fi nto insieme, e una cosa vera e fi nta contemporaneamente, non so perché, ma è più inquietante. Forse senti che manca qualcosa, stai più in ansia. Intorno al minuto, mi muovo. È un sollievo vedere che, in quel vuoto, faccio qualcosa. L’inquadratura si allarga, arriva a contenere il cardigan bianco sulla maglietta lilla. Pensavo mi slanciasse, invece no. Prendo una bevanda al gusto tè (ricordo di aver rinunciato alla bevanda al gusto cioccolata), e non smetto di guardarmi intorno. La bevanda al gusto tè dura un minuto buono. Ai due minuti e cinque secondi, butto lo scodellino e mi risistemo accanto alla macchinetta. A due minuti e cinquantadue secondi, si intuisce che l’intervallo sta fi nendo, ma io, dura, non rinuncio. Resto lì. Immobile. Sola. Mi sistemo il reggiseno. Ho un’espressione così desolata che, a guardarmi, mi vien da piangere. Per fortuna dura poco, l’inquadratura balla e sfoca e fi ne dello spettacolo. La foglia di gelsomino è diventata una striscia appiccicosa, la butto sulla griglia di scolo, con la punta del piede la faccio sparire tra le fessure. Ho le dita di colla. Ancora mi domando come abbiano fatto, dove si fossero nascosti, o nascoste, quanti fossero, chi abbia deciso cosa tagliare. Le chiacchiere mentre lo montavano. Tutto quello che è rimasto fuori da Facebook e dentro la realtà. Anche se niente, nella mia vita, mi è sembrato più vero di quello che ho visto nel monitor. Le gambe storte, per dire. E dopo le gambe, il mio terzo insuperabile problema: la faccia. Nel video è la parte peggiore. Ma questa non è una sorpresa. Infatti di norma evito gli specchi. In casa ce ne sono ovunque, nei corridoi, nel disimpegno, nell’antibagno, dentro la cabina armadio, in taverna, nel sottotetto, e anche qui in giardino, a forma di onda, incastonati nel mosaico che riveste la doccia della piscina. Così ti vedi la faccia e contemporaneamente mezza nuda. Un incubo. Fuori casa, abbasso gli occhi quando ne incrocio uno. Non guardo mai il mio rifl esso nelle vetrine. Quando mi lavo le mani nel bagno della scuola, tengo lo sguardo sulle dita. Me le guardo anche adesso, non sono granché, ma sempre meglio delle guance da porcello. Scarto l’idea di rientrare a lavar via la colla, visto che è tardissimo. Perché ci mettono tanto? Mentre sto per bussare sul vetro, sento la porta del salone, poi il rumore di gomma sul parquet e Nina che, in quasi italiano, si raccomanda per la sciarpa. «Sembra primavera ma non fi darsi perché freddo» dice. Odio quel video. Ma la verità è che odio un sacco di cose, anche quelle che piacciono a tutti. Sono un’odiatrice professionista.
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