Economia
Alitalia, perdita da 1,4 miliardi: il boccone amaro dei capitani coraggiosi
Quelle telefonate di Corrado Passera agli imprenditori di Cai a cui era difficile dire di no...
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Alitalia resta sotto i riflettori, in attesa che si manifesti l’atteso piano industriale di cui si parla ormai da oltre due mesi, mentre la compagnia continua a volare in rosso e con gli ultimi 100 milioni di euro di prestiti sbloccati dalle banche che potrebbero essere prossimi all’esaurimento.
Lo stato dell’ex compagnia di bandiera resta semi-comatoso e molti dei capitani coraggiosi che nel 2008 accettarono l’invito dell’allora premier Silvio Berlusconi ad investire nella compagnia, se non sono già usciti non vedono l’ora di porre fine a un’esperienza di cui avrebbero fatto volentieri a meno.
Già, perché se non fosse stato, come hanno confermato ad Affaritaliani.it fonti ben informate sulla vicenda, per il pressing serrato dell’allora amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, difficilmente avrebbero messo un centesimo in un'avventura imprenditoriale che fra prestiti ponte e interventi vari faceva già acqua da qualche anno.
Passera agiva formalmente da advisor dell’operazione di salvataggio Alitalia, ma era evidente il pressante interesse per Intesa Sanpaolo a trovare una soluzione che garantisse anche i megaprestiti concessi, insieme a Mps, Hsh Nordbank e Calyon-Credit Agricole, alla Air One di Carlo Toto, che nel 2006 sottoscrisse 40 ordini fermi e 50 opzioni con Airbus (al prezzo, si disse all’epoca, “scontato” di 29 milioni per aereo contro i 35 milioni del prezzo di listino). Aerei poi passati ad Alitalia al momento della fusione tra la stessa Air One e l’ex compagnia di bandiera già commissariata e poi “girata” a Cai nel 2008.
Perché gli “imprenditori patrioti” non dissero di no a Passera? Perché in un sistema bancocentrico come quello italiano (ed è tuttora), era impossibile dire di no ad una proposta caldeggiata dalla “banca di sistema” a cui tutti si rivolgono quando debbono ottenere finanziamenti importanti. Imprenditori spesso già esposti con Intesa a cui era difficile opporre un rifiuto.
Ma quanto è costato ai 20 soci di Cai (i più importanti sono la Immsi di Roberto Colaninno, Atlantia della famiglia Benetton, Pirelli, il gruppo Marcegaglia, il gruppo Riva e altri ancora) l’investimento in Alitalia? Cai acquisì il 100% di Alitalia per 1,052 miliardi di euro, rivendendone poi il 49% a Ethiad per 550 milioni, equivalenti ad una valutazione complessiva di Alitalia-Cai, dei suoi slot e del programma Millemiglia di circa 1.122 milioni di euro. Peccato però che nei sei anni di gestione “patriottica” Alitalia abbia accumulato perdite per quasi due miliardi di euro (326 milioni nel 2009, 168 milioni nel 2010, 69 milioni nel 2011, 280 milioni nel 2012, 569 milioni nel 2013 e 580 milioni nel 2014). Perdite che sono poi proseguite anche sotto la gestione Ethiad, sebbene a ritmo inferiore (381 milioni di rosso nel 2015, oltre 400 milioni lo scorso anno).
Così anziché migliorare, le prospettive dell’investimento dei capitani coraggiosi si sono fatte nere e dal mezzo milione di euro di perdite al giorno di cui parlava Luca Cordero di Montezemolo ancora la scorsa estate si è poi arrivati a perdere oltre un milione di euro la giorno a fine anno. In tutto, fanno 2,77 miliardi di perdite cumulate di cui la metà (1,4) pende sulla testa dei soci italiani a fronte di 500 milioni di patrimonio.
C’è chi dice che il business sia strutturalmente in perdita a causa del costo del lavoro troppo elevato a fronte di una redditività che per le spinte concorrenziali fatica a rimanere stabile e che dunque l’unica soluzione sarebbe tagliare il personale e ottenere una maggiore flessibilità contrattuale. E chi fa notare che anche low cost come Ryanair (che peraltro ha chiuso l’esercizio 2015-2016 con 1,242 miliardi di euro di utile netto) risenta dell’elevata concorrenza del settore e che pertanto l’unica soluzione possibile sia arrivare ad un consolidamento che veda Alitalia nel ruolo della preda.
Peraltro, per essere una preda appetibile, la compagnia avrebbe bisogno di migliorare drasticamente i propri conti. Così siamo daccapo, con gli attuali soci che si leccano le ferite e i potenziali acquirenti che si guardano bene dal farsi avanti prima che siano stati risolti tutti i nodi che hanno finora pesato sulla gestione di Alitalia.
Intanto, nel pomeriggio un Cda farà il punto sulla valutazione che gli advisor stanno facendo sul piano preparato dall'amministratore delegato, Cramer Ball. Sul tavolo del board ci sono anche le dimissioni di Roberto Colaninno dal board. Le banche azioniste e principali creditrici (Intesa e UniCredit) aspettano la fine del mese per valutare le nuove strategie. Ma la sensazione è che al capezzale di Alitalia si avvicendino da troppo tempo medici che sembrano non aver ancora capito neppure quale sia la malattia di cui soffre l’azienda.