Economia

Amundi mette nel mirino Anima. Rumors. Il mercato non crede alla smentita

di Luca Spoldi

Anima piace ad Amundi? Circolano le indiscezioni di un interesse del colosso francese del risparmio gestito (1.653 miliardi di euro di asset in gestione lo scorso dicembre), controllato (al 69,8%) da Credit Agricole e che nel nostro PAese ha già comprato l'ex UniCredit Pioneer, per il più piccolo concorrente italiano (186 miliardi di euro circa di patrimonio in gestione a fine 2019) e il titolo Anima Holding schizza all’insù a Piazza Affari, oscillando tra il 9% e il 10% di rialzo a metà giornata, nonostante le smentite di rito.

Nel capitale di Anima Holding, che di recente ha visto l’avvicendamento ai vertici tra l’ormai ex amministratore delegato Marco Carreri e il suo successore, Alessandro Melzi d’Eril (il quale a inizio mese in un’intervista ha pronosticato un’accelerazione del processo di aggregazione del risparmio gestito a seguito della crisi da Covid-19), al momento sono presenti Banco Bpm col 14,27% e Poste Italiane col 10,04%, entrambi essendo partner strategici assieme a Mps e Creval. 

Credit Agricole conosce bene Banco Bpm avendo con l’istituto italiano una avviata partnership nel credito al consumo tramite Agos Ducato e in ogni caso per mantenersi al di sotto del 25% che farebbe scattare l’obbligo di Opa totalitaria le basterebbe riuscire a rilevare le partecipazioni detenute da alcuni investitori istituzionali come Wellington Management Group (4,87%), Norges Bank (3,62%), CI Investments (2,95%) o Aviva Global Investor Service (2,73%) o fare qualche acquisto sul mercato, dove il flottante supera il 53%. 

La spesa per Amundi, che tuttavia ha subito smentito ogni interesse parlando di ipotesi prive di fondamento, non sarebbe poi esorbitante, rimanendo tra 150 e 250 milioni di euro, un prezzo accettabile visto che riflette un multiplo di circa 7 volte l’utile per azione considerato molto modesto dagli operatori di Piazza Affari, tanto più a fronte di un dividendo che sarà staccato a breve e che renderà l’equivalente di quasi il 7,5%, dell’assenza di vincoli sul capitale e di una buona generazione di cassa.

Se nonostante le smentite l’operazione andasse in porto, l’Italia si consoliderebbe come secondo più importante mercato per il Credit Agricole, che sempre tramite Amundi nel 2017 aveva già acquisito Pioneer da Unicredit per la bella cifra di 3,5 miliardi, operando inoltre da oltre 40 anni nel settore bancario italiano a seguito di una serie di acquisizioni (da Banque Indosuez a CariParma, Friuladria, CariSpezia e Banca Leonardo).

Un’espansione avvenuta ogni volta col consenso dei governi francese e italiano in carica e che ha portato il gruppo Credit Agricole ad arrivare nel nostro Paese sulla soglia dei 250 miliardi di euro di depositi e dei 4 milioni di clienti, con circa 3,5 miliardi di ricavi e 314 milioni di utile netto lo scorso anno anche grazie ad un calo dei costi (-3%) parallelo all’aumento dei ricavi (+2%), quest’ultimo grazie sia al margine d’interessi (+2%) sia alle commissioni (+2% medio, +5% le sole commissioni di risparmio gestito). Numeri che potrebbero ora registrare un’accelerazione positiva.