Economia

Apple, GM, Microsoft, Boing e Wells Fargo. Chi ha fatto affari con il Qe della Yellen

Tira aria di un rialzo dei tassi negli Usa e che la Federal Reserve decida di rompere gli indugi a ottobre, dicembre o gennaio è un dettaglio che dipenderà dall’eventuale impatto del rallentamento in atto dell’economia cinese e dei principali mercati emergenti, senza però che questo metta in discussione lo scenario di fondo ribadito ancora di recente da Janet Yellen: negli Usa la crescita è ormai sufficientemente solida per poter iniziare a camminare (quasi) sulle sue gambe. Così non deve sorprendere se nelle quattro settimane conclusesi il 30 settembre scorso, secondo quanto ha segnalato Lipper, i risparmiatori statunitensi abbiano ritirato parte dei capitali finora investiti sia nei fondi azionari (che hanno registrato deflussi netti complessivi per 4,38 miliardi di dollari) sia nei fondi obbligazionari (con deflussi netti complessivi pari a 7,48 miliardi di dollari), mentre i soli fondi ad aver registrato una raccolta netta positiva sono stati i fondi monetari, che hanno registrato afflussi netti per 6,669 miliardi di dollari.

Se i risparmiatori hanno fiutato aria di un rialzo dei tassi, che certamente bene non fa alle quotazioni degli strumenti a reddito fisso e difficilmente può esaltare i mercati azionari, salvo che non si accompagni a una spettacolare crescita degli utili che per la verità al momento non si vede, tanto più che in America la crescita è ormai al suo sesto anno e semmai il rischio è che un aumento dei tassi giunga fin troppo tardi (quando già la spinta propulsiva dell’economia va rallentando), le aziende sembrano non essersene ancora accorte o quasi. In effetti, nonostante un rallentamento registrato durante il secondo trimestre (l’ultimo per il quale siano disponibili i dati), i buyback azionari delle prime 500 società quotate americane sono comunque risultati pari a 134,4 miliardi di dollari (il 6,9% in meno dei primi tre mesi dell’anno), con sei degli otto settori della borsa americana che secondo quanto riferisce Factset hanno visto un calo sequenziale dei buyback e due settori (produttori di beni di consumo discrezionale e di materie prime) che invece hanno continuato ad aumentare gli acquisti di azioni proprie.

La cosa che lascia perplessi è che nonostante il rallentamento, le società americane hanno continuato a spendere per i buyback più dei flussi di cassa (“free cash flow”) che sono state in grado di generare (il rapporto complessivo tra buyback e free cash flow è balzato al 108%, superando il 100% del cash flow per la prima volta dal 2008), il che significa che hanno fatto ricorso al debito per effettuare queste operazioni, che contribuiscono da un lato a sostenere le quotazioni dei titoli in borsa, dall’altro rappresentano una classica operazione di “liabilities management” consentendo di ottimizzare il costo del capitale dato che con tassi che restano vicini ai minimi storici per una società americana è più conveniente indebitarsi in dollari che distribuire dividendi. Andando meglio a guardare i numeri si scopre che mentre negli ultimi 12 mesi (a fine giugno) le 500 maggiori società americane hanno ricomprato titoli propri per un valore di 555,5 miliardi di dollari (+1,38% rispetto ai precedenti 12 mesi), i flussi di cassa liberi sono calati a 514,4 miliardi (-28,6% annuo) nello stesso periodo e questo ha rappresentato un minimo sin dal terzo trimestre 2009.

Va anche detto che la spesa in buyback degli ultimi 12 mesi ha rappresentato appena il 2,8% della capitalizzazione complessiva di Wall Street, ossia la percentuale minima dall’aprile 2011 (quando il dato era risultato pari al 2,7%), il che significa che finché Wall Street continuerà a oscillare su questi livelli e i tassi non saliranno non ci saranno problemi di sorta. Semmai i problemi verranno nel caso in cui la Federal Reserve non si fermi a un solo ritocco dei tassi e il listino azionario di New York inizi a perdere terreno. In questo caso chi sarebbe più “a rischio”, perché maggiormente impegnato in buyback oltre che per i generosi dividendi a cui ha abituato i propri azionisti? Al giugno scorso, negli ultimi 12 mesi Apple aveva distribuito tra dividendi e buyback oltre 13 miliardi di dollari, Microsoft si è fermata a poco più di 6,7 miliardi, la società biofarmaceutica AbbVie ha superato i 5,3 miliardi, Qualcomm ha sfiorato i 5,2 miliardi, Express Scripts ha superato quota 4,6 miliardi, Wells Fargo è arrivata a 4,2 miliardi, Oracle ha distribuito oltre 2,65 miliardi, Boeing si è fermata a 2,63 miliardi, l’ex numero uno mondiale delle assicurazioni, AIG, ha reso ai suoi azionisti 2,5 miliardi, mentre General Motors si è fermata appena sotto quota 2,45 miliardi.

In tutto questi dieci “re di denari” di Wall Street hanno ridato ai propri azionisti oltre 49,3 miliardi di dollari, ma secondo Factsect non necessariamente il trend è sostenibile, anzi negli ultimi mesi le aziende che nei precedenti 12 mesi non avevano effettuato alcun buyback hanno finito con l’offrire un ritorno maggiore (in termini di dividendi o di aumento di valore dei titoli) ai propri azionisti di chi il buyback l’ha effettuato senza remore. Segno che forse l’aria sta cambiando anche a Wall Street o, se volete, che un temporale si sta avvicinando e anche se è ancora lontano sull’orizzonte è opportuno iniziare a cercare un riparo prima che la tempesta esploda.

Luca Spoldi