Astaldi, Condotte e Trevi: l'autunno caldo dei big delle costruzioni
La crisi dei general contractor italiani
Che il settore delle costruzioni abbia pagato in Italia uno scotto superiore a quello di pressoché qualsiasi altro settore produttivo è cosa nota: mentre segnali di ripresa dell’attività industriale, sia a livello produttivo sia occupazionale hanno iniziato a manifestarsi già dal 2014, per poi rafforzarsi negli anni successivi, nelle costruzioni i primi incerti segnali di risveglio si sono avvertiti soltanto a partire dal secondo semestre dello scorso anno, mentre l’Osservatorio Ance (Associazione nazionale costruttori edili) prevede che solo quest’anno il settore uscirà ufficialmente dalla recessione.
I titoli del comparto quotati a Piazza Affari sono risultati uno specchio fin troppo fedele di questo quadro a dir poco incerto. A fronte di un gruppo come Salini Impregilo che ha chiuso il 2017 con ordini (6,7 miliardi di euro), fatturato (6,5 miliardi, +5,8% sul 2016), margini operativi lordi (9,6%) e utile netto (117,4 milioni di euro, +67,1%) in crescita, ma vede comunque il titolo in calo del 27,25% rispetto a 12 mesi fa, per Trevi, Astaldi e Condotte la situazione resta ancora più delicata.
Trevi Finanziaria Industriale, leader mondiale nell’ingegneria del sottosuolo oltre che presente nel settore delle perforazioni (petrolio, gas, acqua) e nella realizzazione di parcheggi sotterranei automatizzati che fa capo alla famiglia Trevigiani (32,3%) ma che annovera anche Cdp tra i suoi soci col 16,8% (acquisito nel novembre 2014 per 101 milioni, attuale valore di mercato della partecipazione pari a meno di 8,6 milioni) e il fondo Polaris col 10,01% è avviata a declinare l’offerta di Bain Capital Credit, sperando di riuscire a varare un “piano B” in tempi rapidi. La società ha bisogno di un’iniezione di capitali freschi e a fine luglio ha approvato un aumento di capitale da massimi 400 milioni di euro, da sottoscriversi fino a 150 milioni in contanti e per il resto mediante conversione di crediti in capitale.
Bain si era offerta concedere, attraverso un bond, un finanziamento “super senior” fino a 100 milioni a Trevi Spa e Soilmec Spa (società del gruppo Trevi operanti nel settore delle fondazioni), purché fosse accompagnato da una conversione dell’indebitamento finanziario del gruppo. Le banche (tra cui figurano in particolare Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bnl-Bnp Paribas e Mps) e i soci di Trevi avrebbero però rifiutato l’offerta e si preparerebbero a varare un aumento da 130 milioni, accompagnato dalla conversione di 250 milioni di debiti bancari (rispetto ai 665 milioni di indebitamento esistente a fine 2017) in capitale. Ma Trevi, il cui titolo viaggia attorno al -58% rispetto a 12 mesi or sono, non è il solo general contractor italiano a dover ricorrere a “piani B”.
Anche in casa Astaldi, gruppo specializzato in grandi opere dall’alta velocità (la stazione di Napoli-Afragola e la linea Roma-Napoli) alla Fiera di Milano piuttosto che alla diga di Mosul, il previsto aumento di capitale da 300 milioni di euro è appeso a un filo, col global coordinator Jp Morgan che pare intenzionato a fare un passo indietro. In questo caso il problema sarebbe legato all’allungamento dei tempi per arrivare alla cessione del terzo ponte sul Bosforo ad un gruppo cinese China Merchant, complici le incertezze che circondano la Turchia e la sua valuta.
Attendono di conoscere l’esito delle trattative anche le banche creditrici (anche in questo caso Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm e Bnl-Bnp Paribas) anche perché pure la partecipazione del partner industriale IHI all’operazione di ristrutturazione patrimoniale e all’aumento di capitale è soggetta alla stessa condizione. Tanto che se non si sbloccasse la trattative non è escluso, hanno già avvertito gli analisti di Websim, “il ricorso all’articolo 182 bis o all’articolo 67 della legge fallimentare”.
Morale: il titolo ha perso il 6,5% nella sola seduta di venerdì scorso portando a -80% circa il calo rispetto a 12 mesi fa. Ultimo ma non meno importante ed emblematico caso di crisi del settore, il gruppo Condotte, terzo dietro a Salini-Impregilo e Astaldi, autore di progetti come la “nuvola” di Fuksas a Roma e l’ospedale Città della Salute a Milano (commessa da 450 milioni di cui 140 milioni a Condotte), con un portafoglio ordini di oltre 6 miliardi di euro, ha dovuto chiedere a inizio anno un concordato in bianco al Tribunale di Roma per evitare l’assalto dei creditori, vedendo poi l’amministratore delegato Duccio Astaldi, cugino di Paolo, proprietario e guida del gruppo omonimo dal cui azionariato Duccio uscì a inizio secolo e marito di Isabella Bruno Tolomei Frigerio (unica erede diretta dell’ingegner Paolo Bruno a cui si deve lo sviluppo di Condotte negli anni novanta), per un suo presunto coinvolgimento in un giro di tangenti per infrastrutture stradali in Sicilia.
Dopo che sono caduti nel vuoto i tentativi di fare cassa cedendo alcuni asset a fondi come Oxy e Attestor Capital (quest’ultimo offriva 50 milioni di finanziamento a pronti e altri 150 milioni all’omologa del concordato), per evitare la perdita del controllo da parte di Ferfina, poco più di un mese fa sono stati nominati i tre commissari straordinari (Matteo Ugetti, Giovanni Bruno e Alberto Dello Strologo) che cercheranno di garantire la “continuità aziendale” in base alla legge Marzano. Non sarà una passeggiata, perché nel caso di Condotte i debiti sono pari a 833 milioni a fronte di 1,3 miliardi di fatturato e fanno capo ad un gruppo di banche tra cui spiccano Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps e Banca Ifis.
Ma almeno qui i lavori per alcune commesse come quella del Policlinico di Caserta (150 milioni di controvalore) sembrano essersi sbloccati, anzi finora i commissari hanno visto sbloccati di cantieri e contratti per oltre 800 milioni di euro, mentre continua il pressing sulle banche per ottenere almeno 40 milioni di prestiti d’urgenza e ricostituire una liquidità nel frattempo azzeratasi, con conseguenti ripercussioni sui dipendenti (che si son visti bloccare gli stipendi da maggio).
Altri fondi (100 milioni) dovrebbero arrivare nei prossimi mesi tramite un prestito attivabile con un fondo del Mise una volta ottenuto il via libera da Bruxelles. A quel punto, dopo la concessione della cassa integrazione straordinaria a rotazione per 280 dipendenti con busta paga Condotte (si dovrebbe partire lunedì prossimo con la cassa integrazione a zero ore, per un mese, per i primi 60 dipendenti della sede centrale di Roma), si tratterà di vedere quanti saranno rimasti e quanti avranno preferito trovarsi un altro lavoro.
Visto che la “fuga di cervelli” pare essersi fatta particolarmente intensa dall’estate, con la ripartenza dei cantieri appena ci sarà la liquidità per riprendere i lavori i commissari potrebbero persino trovarsi a corto di personale e dover cercare di rimpiazzare con nuove assunzioni almeno alcune figure tecniche chiave. Sarebbe il segnale, importante, che per Condotte il peggio è alle spalle.
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