Economia

Aston Martin ingrana la retro. Profit warning e crollo alla City

Aston Martin crolla a Londra dopo profit warning, ora che farà Andrea Bonomi?

Di Luca Spoldi

Che per il mercato europeo dell’auto la seconda parte del 2019 si preannunci difficile lo si era già capito dai profit warning di Daimler e Continental, ma tutto sommato i numeri erano apparsi in linea con le attese del mercato e dunque l’allarme era rientrato abbastanza rapidamente. Oggi però è toccato ad Aston Martin Lagonda tagliare la guidance sulle vendite per l’anno in corso e il titolo del produttore automobilistico di lusso, di cui il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi è ancora socio al 30,9% dopo lo sbarco sul listino di Londra nell’ottobre dello scorso anno non l’ha presa troppo bene, anzi.

Aston Martin ha preannunciato infatti un calo delle vendite del 14% rispetto al 2018 a 6.300 vetture in tutto il 2019 (contro le 7.100-7.400 vetture vendute che ci si attendeva ancora lo scorso maggio). Il produttore britannico ha inoltre effettuato un accantonamento di 19 milioni di sterline nel corso del secondo trimestre, cosa che assieme alla frenata delle vendite porterà l’utile operativo a calare a circa l’8% delle vendite quest’anno. Il Ceo di Aston Martin, Andy Palmer, ha già annunciato che saranno prese azioni per rafforzare nuovamente i margini e gestire al meglio le scorte di vetture prodotte.

Ma a poco più di 7,9 sterline per azione a cui è crollato stamane il titolo (-23,5% rispetto alla vigilia), Aston Martin tratta ormai a meno della metà rispetto alle 19 sterline per azione a cui era stato collocato solo 9 mesi fa con un’Ipo che aveva fruttato al fondo di Bonomi, all’epoca socio al 41,3%, 450 milioni di sterline tramite la cessione di parte dei propri titoli. Non solo: le attuali quotazioni sono di un 20% inferiori alle 10 sterline per azione che lo stesso Investindustrial ha offerto lo scorso primo luglio (tramite la controllata Strategic European Investment Group Sarl) per rilevare 6.840.090 azioni pari a circa il 3% del capitale.

Un’offerta parziale che è già stata approvata da alcuni soci rilevanti di Aston Martin come Primewagon, Adeem Automotive Manufacturing, Asmar e Stehwas Automotive Jersey (che insieme detengono il 30,6% del capitale del produttore britannico di lusso), oltre che di Daimler (socia al 4,2%). Il fatto stesso che in sole tre settimane si sia passati da una valutazione di circa 2,3 miliardi di sterline, come quella proposta da Investindustrial che rifletteva la “fiducia nel valore a lungo termine del titolo Aston Martin”, ad una di meno di 1,85 miliardi, come quella implicita nelle quotazioni odierne, fa sorgere il dubbio se Bonomi confermerà l’offerta o preferirà rinunciare (ha tempo sino al 29 luglio per prendere una decisione definitiva in merito).

Ma fa anche sorgere qualche dubbio circa l’effettiva comunicazione che esiste tra il top management e i rappresentanti dei principali azionisti di Aston Martin, visto che pare improbabile che a inizio luglio non ci fosse alcuna avvisaglia della tempesta in arrivo, dopo le tensioni commerciali internazionali accumulatesi in questi mesi, i loro effetti sull’andamento delle vendite di auto in tutta Europa e le minacce di ulteriori dazi all’import di auto da parte del presidente americano Donald Trump. Per non dire delle incertezze relative alla Brexit che il neo-premier inglese Boris Johnson continua a minacciare poter avvenire anche “senza accodo”, sebbene gli analisti di Schroders giudichino la minaccia priva di reale sostanza, se non altro per la sparuta maggioranza di cui dispongono i conservatori in parlamento e il poco tempo a disposizione per cercare di cambiare gli accordi con la Ue prima della deadline del prossimo 31 ottobre.

Certo, se Bonomi dovesse rinunciare all’acquisto o ritoccare il prezzo all’ingiù (nel momento in cui aveva lanciato l’offerta parziale le quotazioni di Aston Martin oscillavano appena sopra il prezzo offerto), non mancherebbero critiche all’operato del socio italiano di riferimento del produttore britannico, che giungerebbero in un momento già particolarmente delicato. In molti non sono ancora certi che Aston Martin possa replicare il successo borsistico di Ferrari, legato alla trasformazione da produttore di nicchia a gruppo industriale in grado di espandere i propri volumi mantenendo inalterati i margini reddituali.

Molto dipenderà dall’accoglienza che la clientela britannica e internazionale riserverà al modello Dbx, la cui produzione in serie sta per partire nel nuovo stabilimento gallese di St. Athan. Da notare che nel frattempo il fondo di Bonomi ha continuato a investire nei produttori di nicchia britannici, avendo rilevato a marzo la quota di maggioranza di Morgan Motor Company dalla famiglia Morgan, che ha mantenuto una quota di minoranza del produttore di auto sportive fatte a mano. Un investimento peraltro fatto con un differente fondo rispetto a Investindustrial V (che detiene la partecipazione in Aston Martin) e che non pare destinato a sbarcare sul listino azionario. Evitando così a monte ogni possibile polemica circa la congruità delle valutazioni.

Luca Spoldi