Economia
Auto, GM taglia 14 mila lavoratori. E Fca scopre le carte sull'Italia
Rallentamento dell'economia globale, le incertezze legate al tramonto delle motorizzazioni diesel, le nuove regole sulle emissioni in Europa e i ritardi accumulati sul terreno dell’auto elettrica che stenta a decollare. Il settore delle quattroruote comincia a prendere le misure al nuovo scenario del mercato mondiale, correndo subito ai ripari e rimodulando la forza lavoro da impiegare alle piattaforme per i prossimi anni. Piattaforme che a regime stanno sfornando meno veicoli del previsto.
A Wall Street il colosso di Detroit General Motors ha annunciato il taglio del 15% dei lavoratori salariati in Nordamerica e la drastica riduzione della produzione in una serie di fabbriche in Ohio, Michigan, Maryland e Ontario (Canada) nel 2019. Il piano di ristrutturazione della casa automobilistica statunitense prevede la fine della produzione di diversi modelli entro la fine del prossimo anno e il taglio di 14.700 lavoratori: 8.100 colletti bianchi e oltre 6.000 operai. Una sforbiciata che dovrebbe consentire a General Motors di risparmiare 4,5 miliardi di dollari in costi entro la fine del 2020.
"Prosegue la nostra trasformazione" per avere "la flessibilità per investire nel futuro", ha commentato Mary Barra, presidente e amministratrice delegata della casa automobilistica a stelle e strisce. "Riconosciamo la necessità di stare davanti, in un mercato dove cambiano le condizioni e i gusti dei clienti, per mettere la nostra società nella posizione di avere successo nel lungo periodo" ha aggiunto. Gli effetti del rallentamento dell'economia globale si fanno sentire anche sui cugini americani di Ford e sui giapponesi di Nissan, appena scossi dallo scandalo Ghosn.
In Francia, la Ford ha annunciato di voler chiudere il suo stabilimento di Bordeaux, mandando a casa 800 operai, mentre in Inghilterra il ciclone che si è abbattuto sul vertice di Nissan potrebbe portare in dote centinaia di tagli fra i 7.000 lavoratori impiegati nel polo produttivo di Sunderland. L'annuncio dei gruppi americani arriva dopo che poco più di un mese fa Herbert Diess, il Ceo del gruppo Volkswagen, aveva lanciato l'allarme sui rischi di un programma di riduzione della CO2 troppo severo e troppo penalizzante per l'industria automobilistica europeo.
La stampa specializzata teutonica aveva riportato che il capo della casa automobilistica aveva messo in guardia Bruxelles: se le autorità europee dovessero attuare le norme che prevedono tagli del 35% delle emissioni di CO2 entro il 2030 "sarà a rischio in dieci anni un quarto dei posti di lavoro della Volkswagen", cioè 100 mila occupati in meno. Anche in Italia, il futuro degli stabilimenti di Fca è incerto. Giovedì a Torino si incontreranno i vertici del gruppo guidato da Mike Manley e i sindacati. Le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori inizieranno a fare i conti con l’eredità di Sergio Marchionne.
Le sfide rimaste aperte con la sua morte sono molteplici a partire proprio dalla collocazione geografica della stessa azienda. Con l’arrivo di Manley, al posto del manager italo canadese, molti temono che la testa di Fca sia sempre di più a Detroit e sempre meno a Torino. C’è poi il nodo degli stabilimenti italiani, a partire dalla fabbrica torinese di Mirafiori, dove con la fine della produzione dell’Alfa Romeo Mito il futuro appare incerto, fino a Melfi e Pomigliano d’Arco.
Dopo cinque anni di crescita, del resto, continua la produzione negli stabilimenti italiani di Fca è in calo ad eccezione di Melfi e della Sevel di Atessa, in Abruzzo. Gli ultimi dati sulle immatricolazioni ad ottobre hanno fatto segnare un -13,3% in Europa e un -16,8% in meno rispetto allo stesso mese del 2017 e i sindacati sono preoccupati per il nuovo ricorso agli ammortizzatori sociali.