Banche, le fusioni fra gruppi? Rischio crac soltanto rinviato. Parla Mr WeBank
Affaritaliani.it intervista Giovanni Bianchini, profondo conoscitore del sistema creditizio e banchiere pioniere che nel '99 ha ideato WeBank
Chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui conosce molto bene le sue doti. Alla guida della rete di Banca Popolare di Milano in qualità di direttore marketing e commerciale, Bianchini ha interpretato il suo ruolo in modo duplice. All’azione di promozione della relazione con il cliente - stimolo indispensabile per impedire i tipici assopimenti burocratici delle aziende bancarie - ha coniugato una cultura del fare banca innovativa e per molti tratti certamente rivoluzionaria. Una visione assolutamente in linea con l’approccio al mercato che oggi caratterizza i giganti della Silicon Valley, espressa con lungimirante preveggenza. Un lucido anticipatore: capace di mettere a terra le idee e traformarle comunque in profitto.
"Banche la svolta degli utili", "Le banche tornano ai profitti nel 2017 utili per 14 miliardi", sono i titoli dei giornali della scorsa settimana, la nostra carta stampata sembra piuttosto entusiasta degli ultimi numeri della nostra finanza. Dunque dopo il lungo inverno, anche se un po' ammaccate, le banche italiane sono uscite dalla crisi?
"Purtroppo la carta stampata non sempre aiuta il lettore - ma soprattutto il piccolo risparmiatore - a comprendere effettivamente come stanno le cose: tanto per fare qualche esempio basta pensare ai ripetuti titoli dei giornali di 'messa in sicurezza' di Mps, oppure alle mirabolanti dichiarazioni sulla solidita' della Popolare di Vicenza del presidente Zonin ancora qualche giorno prima che dovesse lasciare. Anche sull'attuale presunto turnaround del sistema bancario ho molte perplessità: a parte forse Banca Intesa, che si trova comunque a dover digerire le banche venete, in cio' aiutata peraltro profumatamente dallo Stato, e qualche banca di medie dimensioni (Credem ad esempio) quasi tutto il sistema bancario 'commerciale' deve continuare a fare i compiti a casa sia in termini di Npl che di ritorno ad una apprezzabile redditività. E che dire dell'enfasi che la carta stampata, aiutata da comunicati stampa con il look dei contratti di assicurazione con titoli a caratteri cubitali smentiti da precisazioni scritte in modo sostanzialmente illeggibile, ha riservato in questi giorni a Banco Bpm, accreditata di un utile di 550 milioni tutto derivante dalla plusvalenza della vendita ad Anima di Aletti sgr e cioè di uno dei pochi business positivi per il sistema e che si esaltatata sopratutto per l'incremento della gestione operativa del 60 percento? Ma lo sanno i lettori che il dato della gestione operativa -al netto dei costi sostenuti nel 2016 per spesare il fondo esuberi- è sostanzialmente uguale al dato dell'anno precedente? E al riguardo dove sono Banca d'Italia e Consob? È questa l'educazione finanziaria perseguita da Visco? E' 'trasparente' questa comunicazione?".
Successivamente al fallimento della Lehman Brothers e alla crisi dei mutui subprime un nostro ministro, con soddisfazione affermò che le nostre banche erano sane e che non erano state colpite dai titoli tossici perché "le banche italiane non parlano inglese". Poi sappiamo com'è andata, hanno recuperato terreno in discesa e con gli interessi. Prima della crisi, gli istituti non hanno guadagnato con i titoli tossici, però la crisi l'hanno subita lo stesso. La morale pare essere questa: quando c'è da guadagnare si prende il minimo, mentre quando c'è da perdere si prende tutto, è così?
"Anche in questo caso duole dover sottolineare che non è stato solo un nostro ministro ad affermare che le nostre banche erano sane. Che dire di Banca d'Italia e delle sue acrobazie per far superare i primi 'famosi' stress test di Bce alla Popolare di Vicenza? E del suo sostanziale silenzio quando è stato adottato il bail in? Ed ammesso che Palazzo Koch non avesse gli artigli per colpire (come si scusano spesso Visco ed i suoi), che fine ha fatto la tradizionale moral suasion? Possibile che l'unica banca colpita 'seriamente' con un add on sia stata la Bpm (colpita per la sua governance, non per mala gestio) mentre in giro per l'Italia le banche folleggiavano allegramente non comprando titoli tossici - è vero - ma dando soldi a destra e manca perché così fan tutti?".
Secondo Prometeia, dopo aver ridotto di 53 miliardi lo stock di Npl nel 2017, nei prossimi 3 anni ci saranno ulteriori riduzioni per altri 47 miliardi. Gli Npl, i crediti inesigibili, i nostri titoli tossici, una zavorra per le nostre banche e ora una svendita che viene passata come una liberazione. Non si poteva gestire in altro modo, magari facendo un po' di profitto?
"Certo che si. Ma ancora una volta Stato, Banca d'Italia e banchieri non hanno capito che la crisi non era congiunturale ma strutturale. E così si è vissuti allegramente dal 2009 in poi aspettando che la crisi finisse e tutto tornasse come prima. Quante aziende saltate potevano essere salvate? E quanti banchieri di fronte ad offerte di acquisizione di Npl non hanno voluto affrontare il problema perché si sarebbe registrata una perdita per la banca ed aspettavano interventi da parte dello Stato, a sua volta giratosi dall'altra parte per non vedere?".
Parliamo di Mps, la "maggiore azionista" dello stock Npl, ha subito un processo di ristrutturazione molto doloroso, e nonostante la fatica, l'ultimo trimestre è ancora in perdita. Hanno ridotto la banca più antica del mondo a un colabrodo e se non ci fosse la garanzia dello Stato si penserebbe al peggio. Come uscirne? Una fusione sembra inevitabile...
"Speriamo che una fusione possa salvarlo, senza che il Monte trascini a fondo la o le nubende...".
Carige è la "gemella" malata, non si vede ancora l'uscita dal girone infernale delle perdite. Nonostante le iniezioni di capitale di Malacalza e il prezzo irrisorio di borsa, ancora non si vede la luce. Forse qualche avvoltoio vuole tirare la corda fino all'ultimo? Non c'è il rischio che si spezzi?
"E' un rischio concreto. Le banche in crisi non soffrono soltanto per il peso degli Npl, che comunque hanno minato il patrimonio e soprattutto la fiducia innestando un circolo vizioso meno depositi, maggior costo della raccolta, difficoltà ad erogare nuovo credito e quindi minore redditività, ma anche per il periodo di tassi di interesse negativi, per la sostanziale impossibilità ad aumentare la forbice tra tassi attivi e passivi e per la forte competizione che si è sviluppata sia sul sistema dei pagamenti e incassi che sul risparmio gestito, tradizionale 'roccaforte' dei conti economici delle banche. Insomma, senza una rivoluzione nel modo di fare banca, difficile uscirne. Il palliativo che sta venendo avanti, quello di fare megafusioni è tutto basato sulla riduzione dei costi, soprattutto del personale: ma basterà il fondo esuberi per evitare grandi impatti sociali? E se Renzi avesse avuto ragione a parlare di 100.000 bancari di troppo?".
Prima del bail in, mai nessuna banca italiana era fallita, per gli italiani è sempre stata una certezza per la conservazione del risparmio, e poi tutto d'un tratto, il cambiamento. Una vigilanza distratta ha poi dato il colpo di grazia. Difficile così ricostruire un rapporto di fiducia. Forse si stava meglio quando a vigilare era un certo Enrico Cuccia?
"Tempi diversi, quelli di Enrico Cuccia, con una economia molto più stabile e con le banche che con una manovra sui tassi (che difficilmente si muovevano con lo stesso segno: di norma scendevano i tassi sui depositi e aumentavano quelli sui crediti, questi ultimi dati solo a fronte di solide garanzie, vi ricordate quando si diceva che le banche aprivano l'ombrello quando c'era il sole e lo chiudevano quando pioveva?) sistemavano i conti. Ora, dopo un lungo periodo di crisi, l'economia è molto meno stabile, le manovre sui tassi non sono più possibili per ragioni di competitività, la tecnologia sta cambiando il mondo: insomma uno scenario molto impegnativo che ha 'costretto' le autorità di vigilanza ad intervenire pesantemente, qualche volta in maniera violenta. In qualche caso la cura ha portato alla morte del paziente. Il bail in in teoria ci sta, ho qualche dubbio personalmente sulla chiamata al concorso alla perdita dei depositanti. In ogni caso è stato assolutamente sottovalutato da politici e Banca d'Italia quello che poteva essere l'impatto ed è stato recepito dalla legislazione italiana senza nessun dibattito al riguardo con i risultati che sappiamo".
Banca Intesa sembra l'unica vincitrice, inevitabile che diventi polo aggregante, possiamo sperare di avere un gigante che combatta ad armi pari in Europa?
"Direi di sì, giudico estremamente positivo il lavoro fatto da Messina ed i suoi in termini di modifica del modello di business, con grandi sforzi per enfatizzare i ricavi da prodotti che non assorbono capitale (non derivanti dal credito, cioè'). Sono curioso di vedere quale sarà l'approccio in termini di sviluppo del modello di business con lo sfruttamento della tecnologia e dei big data, che a mio modo di vedere è la nuova frontiera".
Proviamo un esercizio di fantasia, una nuova stagione di alleanze sembra alle porte, chi sposerà chi? Provo io a immaginare un matrimonio: Mps con Ubi e successivamente con il Banco Popolare? Continui lei...
"Andrei cauto su scenari del genere perché Banco Bpm ha insegnato che Bce non fa sconti al riguardo (come avveniva quando le regole del gioco erano dettate da Banca d'Italia, che chiamava una banca più grande per sistemarne una più piccola). E' stato possibile chiamare Ubi e Cariparma per le piccole banche disastrate (Etruria, Carige, ecc..) ma Mps è un boccone ancora grosso (soprattutto in termini di rischi per il futuro) e Banco Bpm è ancora obbligato a fare i compiti in casa".
Il tempo del vecchio mestiere delle banche, quello in cui si facevano gli utili con le masse amministrate, l'aumento di spread e tassi ormai è preistoria, oggi si punta tutto sul risparmio gestito e sui prodotti che non assorbono capitale, ma i margini non sembrano così generosi. Apple e le amiche californiane avanzano anche qui, come difendersi? Sono sicuro che lei ha un'idea sulla banca del futuro...
"L'industria bancaria deve cambiare, con o senza le banche: questo è il motto che mi sento di condividere. La banca generalista che ho vissuto è definitivamente morta sotto i colpi di maglio della crisi, del boom della tecnologia e degli interventi dei vigilantes. Credo che la banca del futuro sarà molto più specializzata sui segmenti di clientela di quanto sia ora: le esigenze del cosiddetto mass market sono profondamente diverse da quelle degli affluent, così come quelle delle Pmi rispetto al corporate. Ma soprattutto occorrerà capire da una parte come condividere i rischi di credito con il mercato (cartolarizzazioni, emissione di bond, sviluppo di un mercato finanziario efficiente eccetera, sviluppo di piattaforme per i prestiti peer to peer) e dall'altra come sviluppare la tecnologia per migliorare la sicurezza e la 'customer experience'. Le banche, rispetto ad Apple e alle amiche californiane hanno ancora un minimo di vantaggio competitivo perché loro conoscono - o almeno dovrebbero conoscere - i propri clienti, le loro abitudini, le loro necessità eccetera. Ma più il tempo passa e più il loro vantaggio competitivo diminiuisce. Banchieri (ma anche politici e mondo accademico e carta stampata) sveglia!".
La crescita puntando sull'innovazione prima che sulla dimensione. Questo ha partorito dalla mente pionieristica di Giovanni Bianchini con WeBank, era il 1999. Ritorno al futuro.
@paninoelistino