Economia
Banche venete a Intesa: quali oneri ad azionisti, obbligazionisti e Tesoro
Popolari Venete/ Se gli asset "sani" andranno a Intesa Sanpaolo per 1 euro...
Il "salvataggio" operato da Intesa Sanpaolo in favore di Bpvi e Veneto Banca è stato accostato da alcuni commentatori italiani all'operazione con cui nelle scorse settimane il Banco Santander ha rilevato il Banco Popular Espanol. Ma tra le due operazioni l'unica similitudine è il prezzo simbolico (un euro) che del resto accomuna sempre queste operazioni (anche Ubi Banca aveva pagato un euro per rilevare le tre "good bank" nate dalle ceneri di Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti).
Tutto il resto, facendo un'analisi meno che sommaria, è assai diverso soprattutto per la ripartizione di onori ed oneri. Intesa Sanpaolo, che giova ricordare si è impegnato a versare nei fondi Atlante e Atlante II fino a 845 milioni e che ha versato contributi ordinari e straordinari per 316 milioni al Fondo di risoluzione e per altri 81 milioni al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) per evitare il fallimento delle quattro banche risolte a fine 2015, ha accettato di rilevare "certi asset" delle due ex popolari venete per un euro, alla sola condizione che tale acquisizione non pesi né sui coefficienti patrimoniali né sulla distribuzione di dividendi prevista, senza pertanto dover far effettuare un aumento di capitale all'istituto guidato da Carlo Messina.
Con l'ulteriore condizione che le autorità Ue non pongano ulteriori condizioni, ossia che non valutino lo schema proposto come un aiuto di stato e diano il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale da 6,4 miliardi finora previsti, di cui 4,7 miliardi a carico dello stato e per 1,7 miliardi a carico di azionisti (il fondo Atlante, che in questa vicenda rischia così di vedere completamente bruciati i 3,5 miliardi finora investiti) e gli obbligazionisti junior.
Poiché, come ricorda Mario Seminerio, a fronte delle attività che Intesa Sanpaolo è pronta a rilevare esistono nello stato patrimoniale dei due istituti delle passività, che la banca non intende rilevare, per capire chi pagherà il conto (che nel caso spagnolo ha pagato il Banco Santander, preparandosi a effettuare 7,9 miliardi di svalutazioni e ad aumentare a tal fine di 7 miliardi il proprio capiale) occorre chiedersi quale sarebbero le poste all'attivo e al passivo dell'eventuale "bad bank" che a quel punto verrebbe sottoposta a ricapitalizzazione preventiva.
Nell'attivo rimarrebbero gli Npl e gli eventuali crediti formalmente "in bonis" ma di fatto considerati ad elevato rischio che Intesa Sanpaolo non intende accollarsi, oltre al contenzioso con azionisti e obbligazionisti subordinati e il personale in esubero (si è parlato di 4 mila unità), che a quel punto dovrebbe essere destinato ad altro incarico (visto che non potrà più lavorare in filiale, essendo queste state cedute), come il recupero crediti, prepensionato o licenziato (con Fabi, First e Uilca che sono sul piede di guerra già da quando si erano ipotizzati i primi esuberi come conseguenza della prevista fusione Bpvi-Veneto Banca).
Al passivo andrebbero i bond subordinati (quelli senior verrebbero rilevati da Intesa Sanpaolo) e il capitale sociale. Quest'ultimo, dovrebbe essere pari agli 1,25 miliardi che la Ue chiedeva fossero preventivamente versati dai privati per poter concedere il via libera alla ricapitalizzaione preventiva e dato che Atlante si è già tirato fuori o verrà versato dal Fitd (ma appare improbabile, visto che non si è riusciti a trovare "volontariamente" banche disposte a intervenire attraverso tale strumento) a dovrà essere versato dallo stato cercando di trovare un accomodamento con la Ue, ad esempio le norme comunitarie dell'agosto 2013 sugli aiuti alla liquidazione di istituti di credito.
Ma non è finita qui: siccome Intesa Sanpaolo non intende aumentare il capitale, per assorbire 25 miliardi di crediti "in bonis" (i 30 miliardi esistenti depurati di quelli a più alto rischio di trasformarsi in crediti deteriorati) dovranno essere ceduti a Intesa Sanpaolo anche i crediti d'imposta differiti delle due banche (che alcune stime indicano pari a 1,4 miliardi), più, se non fossero sufficienti, eventuali ulteriori crediti d'imposta o altre misure equivalenti garantite dallo stato.
Tiriamo le somme: il fondo Atlante e gli obbligazionisti junior perderanno 1,7 miliardi, eventuali investitori retail che potessero provare casi di "misselling" proveranno a ottenere un rimborso a carico dello stato, che si farà carico di 4,7 miliardi di ricapitalizzazioni e di eventuali misure "compensative" per l'assorbimento di capitale per Intesa Sanpaolo per almeno altri 1,4 miliardi ma forse anche il doppio per tutelare gli obbligazionisti senior (bond emessi per circa 10 miliardi) e i correntisti oltre i 100 mila euro da un eventuale fallimento .
A spanne tra i 6-7 miliardi da mettere il valore degli asset ceduti per un euro a Intesa Sanpaolo (e che nell'ipotesi di un fallimento rimasti nel passivo della "bad bank" che avrebbe poi dovuto procedere alla loro liquidazione rimborsando i creditori in ordine di priorità) lo stato rischia di rimetterci 10-15 miliardi di euro. Il che è un valore multiplo di 11 miliardi stimato negli ultimi giorni come onere "di sistema" nel caso di un fallimento.
A pensar male sembrerebbe l'ennesimo tentativo di mutualizzare le perdite dopo aver privatizzato gli utili, un gioco in cui industriali, banchieri e politici italiani sono specializzati da decenni, per la sventura dei contribuenti tricolori. Cosa ne penserà il commissario Ue alla Concorrenza, la "terribile" Margrethe Vestager? A giorni la risposta, da cui dipenderà la definitiva ripartizione degli oneri di questo salvataggio.