Economia

BancoBpm, impatto coronavirus sul piano. Il mercato non crede ai target

Luca Spoldi e Andrea Deugeni

Lo svanire dell’appeal speculativo a breve termine per l'opzione stand alone e l’incertezza circa l’impatto da coronavirus mandano in forte rosso il titolo

Il coronavirus impatta sul nuovo piano industriale di Banco Bpm. O meglio, sull'efficacia delle nuove strategie. Pesante scivolone in Borsa per la terza banca italiana  dopo la presentazione del piano, scivolone che a poco dalla campanella tocca il 6%, ai minimi da settembre. Inizialmente, il mercato aveva reagito positivamente al piano, con il titolo che aveva toccato i massimi della mattina, arrivando a sfiorare un rialzo del +4% per poi iniziare la ripida discesa. I nuovoi target, almeno per ora, non sembrano convincere il mercato. Dubbi che riguardano anche la "tenuta" del nuovo piano che, secondo la banca, è confermato anche "in ipotesi di scenario negativo al 2020", ovvero con un Pil italiano 2020 in discesa dello 0,1%, una previsione che, secondo gli analisti, potrebbe apparire perfino ottimistica a fronte degli ultimi sviluppi della diffusione del coronavirus.

Banco BPM Gruppo APE
 

Non è bastata agli investitori la promessa di una maggiore remunerazione ai soci (Castagna prevede, pur in uno scenario macroeconomico “sfavorevole” di di distribuire oltre 800 milioni di euro in dividendi tra 2020 e 2023, con un payout medio “maggiore o uguale al 40%”) a fronte di un utile netto a fine periodo di circa 770 milioni (contro i 797 milioni dello scorso anno) e un Rote (ritorno sul capitale tangibile) del 7,2%, oltre che ad un miglioramento della redditività legata ad una crescita delle commissioni nette in grado di “più che compensare” l’attesa riduzione del margine di interesse dovuta a tassi di mercato destinati a rimanere molto bassi.

Ma il miglioramento della redditività sarà anche figlia di una ulteriore “significativa riduzione dei costi” che pur a fronte di oneri operativi visti stabili sui 2,6 miliardi di euro l’anno consentiranno sia di controbilanciare l’impatto del rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro sia i maggiori investimenti (600 milioni di euro per arrivare ad un modello di banca pienamente digitale e omnicanale) in tecnologia e digitalizzazione. Per riuscirci Castagna farà calare il costo del personale dagli 1,7 miliardi di euro attuali a 1,66 miliardi, ricorrendo a 1.100 prepensionamenti su base volontaria e rinunciando a circa 200 filiali “transazionali”, un modello che cederà sempre più il passo alle filiali “relazionali”.

Il peso di queste ultime, focalizzate sui servizi di consulenza e su un’offerta di prodotti e servizi completa per la clientela private e imprese, anche in coordinamento con le “fabbriche prodotto” del gruppo (Banca Aletti e Banca Akros), passerà dal 72% attuale all’80% del network distributivo a fine piano, in parallelo ad un ulteriore potenziamento delle soluzioni self-service (si prevede una crescita del 30% delle filiali ad elevata automazione nell’arco del piano). Meno sportelli vuole anche dire minore necessità di immobili strumentali e infatti Castagna prevede di cedere un portafoglio immobiliare del valore complessivo di un miliardo di euro circa che libererà, tra l’altro, 20 punti base in termini di Cet1 ratio.

A proposito di indicatori patrimoniali: il de-risking appare destinato a continuare, con un Npe ratio lordo visto al 5,9% a fine piano, mentre il costo del rischio è atteso pari a 51 punti base, il tutto al netto di nuove cessioni “al momento non previste”. Il Cet 1 Ratio dovrebbe invece salire oltre il 12% sempre entro fine 2023, con un liquidity cover ratio  stimato  superiore al 160% entro tale data. Fatti contenti gli azionisti, con una crescita del flusso di dividendi, e le autorità, con una ulteriore riduzione del rischio, cosa farà Castagna per accontentare il mercato? La risposta in parte è stata data durante la conference call dallo stesso manager. 

Il piano è stato elaborato “stand alone” ma Castagna sa che in futuro vedremo “un mercato più consolidato” e spera ancora “di partecipare a un consolidamento che venga da molte banche di media dimensione che si uniscono, piuttosto che da un’operazione ostile”. Ogni riferimento all’Ops lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, con cui a lungo Banco Bpm è parso flirtare anche in vista di una possibile aggregazione a tre (o a quattro) con Mps (ed eventualmente Bper Banca) non sembra casuale.

Agli analisti che chiedevano un parere sull’Ops lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, Castagna ha tuttavia spiegato di non dover “rispondere a nessuno, perché stiamo facendo la nostra road-map su base stand alone. Avremo tempo nei prossimi mesi per mostrare la capacità di raggiungere i target grazie a una sostenibile profittabilità generata dal core business”. Una risposta che forse ha deluso chi sperava nell’annuncio di una disponibilità a dar vita al “terzo polo” bancario in tempi brevi, ma Castagna non è caduto in trappola: “Il mio obiettivo è iniziare questo 2020 con solidità nonostante la situazione del coronavirus”. 

Abbiamo “un buon futuro su base stand alone” ha insistito il manager, concludendo: “Se poi ci sarà in futuro un consolidamento di banche di medie dimensioni vedremo come muoverci e quali scelte farà  il mercato”. Lo svanire dell’appeal speculativo a breve termine e l’incertezza circa l’impatto da coronavirus, ossia se esso sarà limitato al solo 2020 come nelle ipotesi alla base del piano o si estenderà a medio termine mettendo a rischio il calo del Npe ratio lordo e l’aumento del payout, porta gli investitori a vedere il bicchiere mezzo vuoto più che mezzo pieno.