Economia
Baomark, Bekaert ex Embraco e Comita: tutti i 69 tavoli di crisi di Giorgetti
I casi aperti e in fase di monitoraggio al Ministero dello Sviluppo economico
L'automotive la fa da padrone. Poi siderurgia, gli elettrodomestici e il tessile-calzaturiero
Il velo lo ha alzato mercoledì al question time in Parlamento il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: “Le imprese complessivamente coinvolte nei tavoli di crisi e monitoraggio sono complessivamente 69”. I casi di crisi aziendali al centro dei tavoli al Mise dunque sono diminuiti dagli 88 dell’ultima stima fornita dalla viceministra pentastellata Alessandra Todde ai 69 citati ufficialmente dal numero due della Lega. Erano circa 150 durante la gestione Di Maio-Patuanelli in Via Molise fra giugno 2018 e febbraio 2021.
Ora, dopo il congelamento del mercato durante i lockdown per l’epidemia Covid, le strozzature lungo la catena di fornitura (in particolare di microchip) e l’inizio del conto alla rovescia per la fine degli inquinanti motori a combustione dettato dalla transizione ecologica è l’automotive a farla da padrone nella lunga lista seguita dai dieci esperti appena incaricati al Mise da Giorgetti.
Il caso della Gkn Driveline di Firenze, azienda della componentistica delle quattroruote che nel luglio scorso aveva annunciato il licenziamento di tutti e 422 i dipendenti, scatenando forti proteste e ora risolto con l’ingresso della società QF, ma in attesa capire i propri destini di riconversione è un epilogo a cui gli oltre 21mila nell’automotive coinvolti nella gestione delle crisi al Mise (tra una sessantina di casi complessivamente aperti e una trentina in fase di monitoraggio) guardano con fiducia.
La Baomark, la Bekaert, le filiali italiane della Bosch, la Blutec, la Caterpillar Jesi sono solo l’epifenomeno di una componentistica in forte soffererenza che una volta ripartita la domanda lunga la catena produttiva dovrà comunque affrontare la sfida della riconversione della fornitura green. Poi, secondo quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, senza contare la madre di tutte le crisi dell’acciaio come l’ex Ilva di Taranto (il 13 dicembre l’azienda in cogestione Invitalia-ArcelorMittal ha presentato ai sindacati al Mise un progetto per decarbonizzare gli impianti lungo 10 anni) e la cessione dell’Ast di Terni dai tedeschi della Thyssen alla cremonese Arvedi, ci sono quasi 8.700 tute blu coinvolte nella crisi della siderurgia (Comital, Jsw Piombino).
A seguire anche il comparto degli elettrodomestici continua a lanciare segnali di sofferenza: i lavoratori coinvolti sono quasi 6.700, compresi quelli della bellunese Wanbao Acc e quelli della Whirlpool di via Argine a Napoli che cerca ancora la strada della reindustrializzazione grazie all’intervento di un consorzio di 59 aziende che dovrebbe insediarsi al posto della multinazionale americana che ha licenziato 316 operai.
Nello stesso settore ci sono anche i 71 lavoratori della Riello Pescara. E ancora: 5 mila nel tessile-calzature (Forall, Brioni e Ittierre alcuni esempi), 4.700 nel commercio (tra gli altri Conad-Auchan, Dico, Distribuzione Cambria), 4 mila nell’agroalimentare (come Acque Minerali, Alimentitaliani, Ferrarini), 3.600 nell’Ict-telecomunicazioni (come Italtel, Finix, Flextronics, Selta, Semitec, Sirti).
Per la ex Embraco si va al licenziamento collettivo perché il 15 dicembre al Mise non sono arrivate proposte concrete che consentano di reindustralizzare il sito produttivo piemonetese di Riva di Chieri, la Pernigotti sembrava rilanciata, ma torna nel cono d’ombra della crisi. Soluzione positiva, invece, per la multinazionale Elica.
Una nota invece positiva: sta iniziando a funzionare il Fondo per la prosecuzione dell’attività d’impresa che vede il coinvolgimento di Invitalia come partner di minoranza accanto ai privati (nei dossier Corneliani, Sicamb, Canepa, Slim, Fusina, Walcor, Salp e si profila Jabil). La luce in fondo al tunnel.