Economia
Bolla cinese, ancora temporali estivi. Come mettersi al riparo e guadagnare in Borsa
Se inizialmente il rialzo dei listini serviva a favorire la nuova stagione di privatizzazioni, a compensare la classe media cinese che soffre (persino lori!) della minore crescita economica, a dare un’alternativa all’investimento in immobili (i cui prezzi sono già saliti a livelli preoccupanti) e a incentivare i consumi interni grazie ai facili capital gain, ora Pechino prova a offrire sostegno alla ripresa con una politica monetaria fattasi più espansiva, prova a limitare gli eccessi imponendo limiti ai rapporti prezzo/utili delle nuove matricole di borsa, insiste nella strada delle riforme per rendere più “congrui” i fondamentali macroeconomici rispetto alle valutazioni dei mercati finanziari. Insomma, come nota anche il broker francese Oddo, il mercato azionario cinese è entrato in una fase che anche graficamente appare come quella tipica di una bolla speculativa che brucia, ma essendo sempre stato visto più come un “casinò” che come una canale di finanziamento delle grandi corporation cinesi (l’economia di Pechino è nel complesso ancora poco finanziarizzata) non dovrebbe causare effetti recessivi particolari, né il panico dovrebbe diffondersi ad altri mercati, anche se qualche contraccolpo almeno nel breve termine è prevedibile per i principali mercati emergenti asiatici, a cominciare da Hong Kong, la piazza su cui tutti i grandi fondi di investimento operano quando vogliono assumere una posizione in titoli azionari di Pechino. Operativamente il consiglio può dunque essere quello di evitare di lasciarsi attrarre dai vistosi cali di listini che, comunque, restano ampiamente sopravvalutati e che conservano un guadagno importante da inizio anno e, semmai, approfittare dei rimbalzi per vendere e alleggerire le posizioni.
Ci sarà tempo per tornare a guardare all’Asia e alla Cina in particolare dopo l’estate, quando probabilmente anche la Banca del popolo cinese avrà deciso di allentare ulteriormente la propria politica monetaria. Ad approfittare del flusso di capitali in uscita dalla Cina potrebbero essere da un lato Tokyo, dall’altro gli altri mercati emergenti (che però restano esposti al rischio di un graduale rialzo dei tassi d’interesse Usa, cui sono storicamente legati i cicli di rialzo/ribasso dei listini azionari mondiali e di quelli emergenti in particolare), tra cui la stessa Grecia se dovesse essere trovato, come i mercati stanno dimostrando in questi ultimi giorni di credere, un compromesso accettabile per tutti. Certo, Atene non può avere lo stesso peso di Pechino né sull’economia mondiale né nei portafogli, ma l’eventuale sincronia tra la soluzione, almeno temporanea, della crisi greca e l’esplosione della bolla speculativa cinese potrebbe favorire un “cambio di cavallo” quanto meno all’interno dei portafogli dei fondi specializzati in mercati azionari emergenti.
Luca Spoldi