Economia
Brexit, senza accordo a rischio 23 miliardi di export per le aziende italiane
Il quadro per ora resta in chiaroscuro: alcuni gruppi come Fca registrano già un rallentamento delle vendite, altri come Leonardo, Ferrari o Campari resistono
Ammontano a oltre 23 miliardi di euro le esportazioni di beni delle imprese italiane verso l’Inghilterra che una Brexit senza accordi mette a rischio. L’allarme è stato lanciato qualche giorno fa dal Centro Studi Confindustria, che però aggiunge: un simile scenario potrebbe anche creare l’opportunità per nuovi investimenti in Italia da parte di aziende estere.
A livello di comparti, a rischiare di più sarebbero i produttori di vini e bevande alcoliche (1,16 miliardi di dollari di esportazioni nel 2017) che per il Centro Studi potrebbero essere colpiti da barriere tariffarie attorno al 19% se si applicassero i dazi vigenti nel commercio tra Unione europea e resto del mondo. Ma non se la passerebbero bene neppure le tante aziende di “agrifood” che esportano nel complesso 2,6 miliardi di dollari l’anno e rischierebbero dazi tra il 6% e il 35% a seconda dei singoli prodotti.
Ma se il bere e il mangiare italiano sta comunque conquistando Londra e il Regno Unito e si può quindi pensare che una volta superato il primo shock iniziale si potrebbe assistere a una ripresa, a rischiare grosso sono anche i settori dei macchinari (4,27 miliardi di dollari di export) dell’automotive (2,87 miliardi), la moda (2,14 miliardi) e l’arredamento (1,32 miliardi).
Guardando poi ai singoli gruppi, fanno affari consistenti in Gran Bretagna, tra gli altri, Fca, Ferrari, Leonardo, Granarolo, Lunelli e Campari, piuttosto che Luxottica, solo per citare alcuni dei nomi più importanti che, in alcuni casi, hanno già iniziato a risentire delle incertezze della Brexit. Fca, ad esempio, dopo un 2017 già problematico ha visto le immatricolazioni dei marchi Fiat, Alfa Romeo, Jeep, Abarth e Maserati calare nel 2018 a 52.855 vetture in tutto contro le 61.994 dell’anno precedente (-14,7% contro un calo medio del mercato britannico del 6,8%).
Ferrari, che nel Regno Unito dispone di una rete di 13 dealer, fino a tutto il 2017 ha per contro visto le vendite continuare a crescere a doppia cifra percentuale grazie al successo di modelli come la 488, la GTC4Lusso 812 Superfast. Così a Maranello, che già a ottobre ha rialzato del 7% in media i suoi prezzi di listino (anche per bilanciare l’indebolimento della sterlina), per ora incrociano le dita.
Non sembra per ora risentire del rischio Brexit neppure Leonardo, presente sul mercato tramite la controllata al 100% AgustaWestland (elicotteri) e che qualche giorno fa ha firmato un contratto con il ministero della Difesa inglese per la fornitura di servizi completi di supporto e manutenzione per la flotta di elicotteri Apache AH Mk.1 del valore di circa 293 milioni di sterline (circa 325 milioni di euro). Nel Regno Unito Leonardo fornisce inoltre servizi di supporto operativo integrato e di addestramento anche per la flotta di elicotteri militari AW159 Wildcat e AW101 Merlin attraverso contratti pluriennali che evidentemente non verranno a cadere qualsiasi sia l’esito della Brexit.
Granarolo (1,27 miliardi di fatturato a fine 2017 con un utile netto di 10 milioni) da poco meno di un anno in Gran Bretagna ha rilevato, tramite Granarolo UK, il 100% di Midland Food Group (che per il 2018 vantava un fatturato previsto di circa 70 milioni di euro contro i 22 milioni dell’acquirente) con l’obiettivo di far diventare già da fine 2018 il Regno Unito il terzo mercato con oltre 100 milioni di euro di fatturato annuo dopo l’Italia e la Francia.
Il gruppo Lunelli di Trento, proprietario dei marchi Cantine Ferrari, appena incoronata “cantina dell’anno” dal Gambero Rosso, Tenute Lunelli, Surgiva, Segnana e Bisol (storica cantina del Prosecco superiore Docg acquisita nel 2014) non fa mistero di puntare sul mercato britannico per incrementare ulteriormente le vendite in particolare dei suoi spumanti. Il Regno Unito è infatti già oggi il principale mercato di esportazione di Bisol con un valore di produzione pari a oltre 2,5 milioni, rispetto ai 100 milioni di fatturato dell’intero gruppo a fine 2017, di cui 20 milioni registrati su mercati esteri.
Conquistare la tavola, anzi il bancone da bar, degli inglesi è un obiettivo a cui si sta da tempo dedicando anche il gruppo Campari, che nei primi nove mesi del 2018 vantava una crescita organica del 18,2% delle sue vendite in Gran Bretagna dovuta in particolare all’apprezzamento mostrato dagli inglesi per Aperol (vendite cresciute del 51,2%), Campari (+24%), Bulldog (+16,8%) e i Rum giamaicani (+8,7%). “Ottima performance” anche quella dichiarata alla fine dei primi nove mesi del 2018 da Luxottica per quanto riguarda il Regno Unito. Ma con una Brexit “al buio” alle porte, anche per il gruppo che fa capo a Leonardo Del Vecchio potrebbe essere ora di mettere a fuoco strategie di crescita alternative al mercato britannico.