Economia
Carige, spettro risoluzione. Il consorzio non garantisce l'aumento

Le opzioni per il gruppo di Paolo Fiorentino che deve effettuare un difficile rafforzamento patrimoniale
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Scoppia la bomba Carige in Piazza Affari. Apertura in calo per la Borsa di Milano, dove i titoli bancari, mentre nelle teste degli operatori riafforano i terribili ricordi dei passi indietro di UniCredit con PopVicenza e di Jp Morgan-Mediobanca con Mps, tornano sotto pressione dopo l’annuncio del mancato accordo tra Banca Carige e il consorzio di banche che avrebbe dovuto garantire l’aumento di capitale da 560 milioni di euro. Mentre i titoli di Banca Carige sono sospesi in attesa di una nota ufficiale al termine della riunione straordinaria del Cda convocato alle 9.30 di stamane, tra i titoli peggiori del listino è nuovamente Creval, sospeso al ribasso dopo un ultimo scambio a 1,30 euro (-9,86%) che di fatto porta la capitalizzazione dell’istituto, che a sua volta aveva annunciato pochi giorni fa un aumento di capitale da 700 milioni, sotto i 150 milioni.
Come anticipato da Affaritaliani, dunque, l’esistenza di un accordo di pre-underwriting siglato da Credit Suisse, Deutsche Bank e Barclays non è stato sufficiente a garantire l’avvio di un’operazione iperdiluitiva, dunque molto onerosa per gli azionisti esistenti. Le ultime voci circolate parlavano di un prezzo inferiore ai 5 centesimi per azione che sarebbe stato fissato inizialmente per l’aumento, rispetto ai 14,73 centesimi della chiusura di ieri, ma alcuni osservatori avevano ipotizzato un prezzo anche solo di 1 o 2 centesimi a titolo e un “bonus” per chi avesse mantenuto le azioni in portafoglio per un determinato periodo di tempo.
Offerte molto generose che parevano rivolte in particolare ad Unipol, che assieme ad Assicurazioni Generali e a Intesa Sanpaolo, ha aderito all’operazione di concambio dei bond junior in nuovi bond senior (i tre gruppi dovrebbero aver apportato in tutto circa 160 milioni di euro nominali a fronte dei 510 milioni di controvalore complessivo a cui era rivolta l’offerta), a sottoscrivere la propria quota dell’aumento, pari a 60 milioni.

Per i restanti 500 milioni era data per scontata l’adesione, forse anche in misura leggermente superiore alle attuali quote, delle famiglie Malacalza e Volpi, attualmente al 17,588% e al 6,001% ma intenzionate a salire e dunque ad arrivare a superare il 25%-27% del capitale post- aumento. Ipotizzando che i due investitori fossero stati disponibili a investire fino ad altri 140-150 milioni di euro complessivamente, e la piena adesione di Unipol, Generali e Intesa Sanpaolo, il conto sarebbe stato di circa 200-210 milioni “garantiti” su 560 milioni. Troppo pochi, evidentemente, nonostante l’interesse mostrato da alcuni fondi come Toscafund Asset Management e BlackRock che, del resto, difficilmente investono per più di 5%-6% di capitale e dunque avrebbero potuto far affluire non più di altri 40-60 milioni di euro, portando il totale delle adesioni più o meno certe a circa la metà della cifra richiesta.
Ora che cosa può succedere? Il Cda dell’istituto guidato dall'ex UniCredit Paolo Fiorentino dovrà capire se è possibile proseguire col piano di ristrutturazione presentato dal neo amministratore delegato, che oltre all’aumento di capitale prevede anche una serie di dismissioni da cui erano attesi incassi per almeno 200 milioni (107,5 dei quali già incassati con la cessione della sede di Milano), e se sarà possibile ottenere dalla Bce una proroga al lancio dell’aumento di capitale, che l'Eurotower chiede venga chiuso entro fine anno così da consentire la cessione di un ulteriore portafoglio di crediti deteriorati per 1,2 miliardi di euro. Ancora il tallone d'achille, dopo gli annunci della Vigilanza sul trattamento degli stock dei crediti deteriorati in futuro, del sitema bancario italiano.
Vittorio Malacalza
Il precedente di Mps, che provò la strada della ricapitalizzazione di mercato “senza rete” e dovette, avendola fallita, richiedere d’urgenza l’intervento dello stato tramite una ricapitalizzazione precauzionale che ha comportato, tra l’altro, la sospensione del titolo dalle contrattazioni di borsa per quasi 10 mesi, è ancora fresca nella memoria di tutti, il rischio di un “effetto domino” anche, tanto più che il fondo “salva banche” da 20 miliardi istituito a fine 2016 è già quasi esaurito, così come non hanno praticamente più risorse i fondi Atlante e Atlante 2.
"Potrebbe anche esserci solo un differimento dei tempi dell'aumento, ma bisogna verificare se ci sono le condizioni", ha spiegato un consigliere di Carige prima di entrare nella riunione del Cda. Gli operatori temono però che lo stop odierno all'aumento apra un'altra strada per la banca genovese: "Date le attuali condizioni di mercato, non escludiamo che Banca Carige sia posta sotto risoluzione dal Supervisore - spiega un broker - Ne conseguirebbe probabilmente una separazione degli asset sani da quelli deteriorati con una 'banca-ponte' ricapitalizzata con l'intervento dello Stato e aggregata a un gruppo più ampio mentre i crediti problematici verrebbero trasferiti a un investitore specializzato". In altre parole, la strada della risoluzione che ha accomunato Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti alle due Popolari venete e che ora dovrebbe aggiungere un posto a tavola per l'istituto ligure, l'unico bocciato assieme a Mps nella prima tornata assoluta degli stress test della Bce appena promossa a vigilante europeo nel 2014.
(Segue...)