Economia
Pechino mette nel mirino i colossi tech della Silicon Valley: aperta un'indagine antitrust su Apple
Dopo Google, Pechino risponde ai dazi del presidente Usa colpendo anche il colosso di Cupertino, il cui titolo ha ceduto il 2,6% prima dell'apertura dei mercati statunitensi
La Cina mette nel mirino Apple con una possibile indagine Antitrust
L'Amministrazione per la regolamentazione del mercato della Cina sta valutando l'apertura di un'indagine sulle politiche del colosso tecnologico Apple, nel quadro della guerra dei dazi con gli Stati Uniti. Lo riporta l'emittente statunitense "Bloomberg", citando fonti riservate. L'ente regolatore starebbe esaminando in particolare le commissioni fino al 30 per cento sugli acquisti in-app, oltre che le restrizioni vigenti sui servizi di pagamento esterni e sugli App Store. Gli ultimi sviluppi, che hanno fatto scendere le azioni dell'azienda di Cupertino del 2,6 per cento prima dell'apertura dei mercati statunitensi, seguono i provvedimenti che hanno colpito diverse aziende Usa dopo la decisione del presidente Donald Trump d'imporre dazi del 10 per cento sulle merci importate dalla Cina.
Ieri, 4 febbraio, l'Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato ha annunciato un'indagine antitrust contro il colosso del digitale Google, citando non meglio precisate violazioni della legislazione antimonopolistica. La multinazionale di proprietà di Alphabet ha sospeso gran parte dei suoi servizi in Cina già nel 2010, a causa della censura dei contenuti imposta dal governo. L'iniziativa rientra in una più ampia controffensiva che ha portato il ministero del Commercio cinese a inserire l'azienda di biotecnologie Illumina e il colosso d'abbigliamento Phv Corp nella lista delle entità inaffidabili, per "misure discriminatorie" contro le imprese cinesi. La casa madre di Calvin Klein e Tommy Hilfiger, in particolare, era già finita al centro di un'indagine del ministero lo scorso settembre, a causa della "condotta inappropriata" tenuta su questioni relative alla regione dello Xinjiang, dove il Partito comunista è accusato di perpetrare sistematici abusi nei confronti di uiguri e altre minoranze etniche.
I ministeri di Finanze e Commercio hanno inoltre annunciato dazi del 15 per cento su importazioni di carbone e gas naturale liquefatto (Gnl), assieme a dazi del 10 per cento su petrolio greggio, macchine agricole e auto di grossa cilindrata importate dagli Usa, a partire dal 10 febbraio. Al via da ieri anche controlli rafforzati sulle esportazioni cinesi di tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio, cinque minerali critici per la produzione di attrezzature militari, pannelli solari e dispositivi elettronici. Oggi, 5 febbraio, il ministero degli Esteri cinese ha fatto sapere tramite il portavoce Lin Jian che le "pressioni e le minacce non funzioneranno sulla Cina", che ha adottato dazi di contrasto a quelli voluti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per "difendere i legittimi diritti e interessi della nazione".
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Nella prima conferenza stampa convocata dopo le vacanze per il Capodanno lunare, Lin ha detto che "Pechino è fortemente insoddisfatta e si oppone con convinzione all'imposizione di un dazio del 10 per cento sulle merci cinesi utilizzando il fentanyl come pretesto", alludendo alle ragioni addotte da Trump per motivare la nuova barriera commerciale. "Cio' di cui c'è bisogno ora non è un incremento unilaterale dei dazi, ma dialogo e consultazione basati sull'uguaglianza e sul rispetto reciproco", ha sottolineato Lin.