Economia

Coronavirus, il conto finale per il lusso: nel 2020 vendite globali -30%

Prime trimestrali dei big della moda con ricavi in forte contrazione. Per l’intero 2020 si stima un calo delle vendite globali del 30%. Un evento mai accaduto

Di Fabio Pavesi

 

Il virus che attacca tutto e tutti non poteva non scalfire anche il mondo del lusso. La chiusura forzata dei punti vendita e il blocco degli acquisti fa venir meno giorno su giorno i ricavi dei big della moda.

Gli osservatori se lo aspettavano e ora arrivano con le trimestrali le prime conferme. Ieri Moncler ha diffuso i conti dei primi 3 mesi con un taglio secco dei ricavi del 18%.

E il giorno prima era stata la volta di Kering, che ha chiuso il primo trimestre del 2020 con ricavi pari a 3,2 miliardi di euro, in calo del 15,4%, con il suo marchio ammiraglio Gucci (da solo vale il 60% del fatturato) penalizzato più duramente rispetto agli altri a causa della sua forte esposizione in Cina - mercato colpito per primo dell'epidemia di coronavirus - e dal relativo rallentamento dei flussi turistici cinesi in giro per il mondo.

Le vendite di Gucci sono diminuite del 22%. La prima a gettare luce sul crollo delle vendite del luxury era stata Lvmh. Il colosso francese ha visto le vendite flettersi del 15% nel periodo gennaio-marzo. Come si vede e come era prevedibile il collasso derivante dal blocco generalizzato delle attività economiche non risparmia nessuno, anche i giganti dai marchi più forti. E il futuro promette una frenata ancora maggiore.

Di fatto la grande caduta, soprattutto in Europa, riguarda il mese di marzo con il lockdown generalizzato. In Asia e in Cina il tracollo è stato più intenso comprendendo anche l’intero mese di febbraio. Ovviamente gli analisti sanno che il colpo più duro arriverà con i conti del secondo trimestre con Usa ed Europa di fatto chiuse alle attività commerciali, mentre la Cina sarà in recupero. Un recupero che però non basterà. Secondo le stime di Goldman Sachs si prevede che l’industria globale del lusso perda nel 2020 il 30% del suo giro d’affari. Un evento che non ha precedenti.

E che batte per flessione anche la crisi del 2009. Un taglio secco di un 30% delle vendite finirà per comprimere i margini, strutturalmente molto elevati, del lusso. Le aziende potranno far fronte tagliando i costi variabili, ma poco potranno sui costi fissi. E così uno dei settori a più alta profittabilità, vedrà un ridimensionamento del suo appeal borsistico.

Certo pagherà dazio meno di altri comparti, ma lo scotto in Borsa sarà da registrare anche per il settore della moda. Basta che i margini rallentino per non giustificare più gli alti multipli con cui il mercato valuta tipicamente il luxury.

Lvmh ad esempio che pur ha perso da inizio anno solo il 20% in Borsa, vale tuttora sul mercato la bellezza di 176 miliardi, oltre 3 volte il fatturato del 2019 e ben 25 volte i profitti. Quelli del 2019 però, a quota 7,2 miliardi. Per il 2020 il consenso ad oggi degli analisti vede gli utili netti scendere a poco più di 5,5 miliardi. Gli utili saranno ancora copiosi, ma i prezzi di borsa finiranno per scendere allineandosi al calo della storica profittabilità. A far da argine al comparto rispetto ad altri settori, il dna delle società del lusso. Alti margini, flussi di cassa abbondanti, e soprattutto poco debito e tanta liquidità. Ma non varrà per tutti. Tra i titoli più liquidi ci sono Moncler, Hermes e Swatch. Mentre finanziariamente più tirati ci sono Prada e Kering. La cassa farà la differenza.