Economia
Coronavirus,il problema? Il debito/Pil al 200%. E c'è già chi parla di default
La recessione da coronavirus può portare alla ristrutturazione del debito pubblico italiano
Anche gli analisti sono d’accordo: se l’Eurozona non agirà subito si rischia che la recessione (che già ora porterà ad un calo del Pil di Eurolandia tra il 2% e il 9% e di quello italiano tra il 2,6% e l’11,6% a seconda dei previsori) si trasformi in un’autentica Caporetto. Per essere ancora più chiari, gli esperti di S&P Global Ratings quantificano: un blocco di quattro mesi delle attività economiche farebbe crollare il Pil della zona euro fino al -10% quest’anno.
Posto che alla fine si trovi un’intesa tra i paesi del Nord Europa, contrari al varo degli eurobond o all’utilizzo senza condizioni del Mes, e quelli del Sud Europa, che premono per uno sforzo comune e “asimmetrico” (con maggiori aiuti a chi è più fragile e non a chi è più “virtuoso”), da più parti si iniziano a ipotizzare la misure che, post crisi, saranno varate per riportare nuovamente i conti in ordine.
Il travaso da debito privato a debito pubblico ipotizzato anche da Mario Draghi in un’analisi sul Financial Times farà infatti esplodere il rapporto sia del deficit sia del debito (entrambi in crescita) rispetto al Pil, visto in forte calo. Per l'Italia Goldman Sachs, ad esempio, vede il deficit/Pil volare al 10,3% e il debito/Pil arrivare al 161% a fine anno, rispetto all’1,6% e al 134,8% segnati lo scorso dicembre, mentre altri come Morgan Stanley o S&P Global Ratings sono meno negativi ma vedono comunque i conti pubblici italiani, e dunque la sostenibilità del debito agli occhi degli investitori, a rischio.
Il tema che nessuna banca d’affari vuole neppure nominare, finora, ma nei confronti fra analisti se ne parla, è una ristrutturazione (“haircut”) del debito pubblico italiano, che a gennaio (ante pandemia) era già salito a 2.443 miliardi. Per questo Draghi nel suo intervento sottolinea come “dato il presente e probabile futuro livello dei tassi d’interesse, tale aumento del debito pubblico non aumenterà i costi del suo servizio”, rendendolo dunque sostenibile.
Se qualcosa andasse storto, tuttavia, in una situazione che l'ex-capo economista del Tesoro, Lorenzo Codogno oggi ha definito sul Financial Times "disastrosa" e secondo cui se non fosse per le politiche della Bce, "l'Italia sarebbe già in default", la cassetta degli attrezzi per evitare una ristrutturazione del debito pubblico che sarebbe catastrofica non solo per l’Italia ma per l’intero sistema finanziario dell’Eurozona, è abbastanza variegata, come ha spiegato Paolo Scaroni.
Secondo l’ex numero uno di Enel ed Eni ed attuale deputy chairman Rothschild Group, “i nostri governanti futuri, quando il virus sarà sconfitto” ma la struttura economica italiana sarà ancora “in grave affanno” potrebbero sentirti “autorizzati a prendere qualsiasi provvedimento fiscale, come l’aumento dell’Iva, un sistema di tassazione estremamente progressivo, o una patrimoniale”.
Altri come l’economista e blogger Mario Seminerio accanto a maggiori acquisti di Btp italiani da parte della Bce prevedono una sorta di chiamata alle armi del risparmio privato tricolore, “spostandolo da investimenti esteri o sin qui parcheggiato in liquidità” in investimenti in titoli di stato italiani, “magari agevolati fiscalmente e di tipo perpetuo (cioè irredimibile), in modo da non entrare nelle metriche di debito”.
Misure che per Seminerio rappresenterebbero una “repressione finanziaria ancora blanda”, ma che non escluderebbero, anzi, una “patrimoniale straordinaria, per evitare di dover ristrutturare il debito pubblico” italiano più o meno “ordinata” appunto, che rischierebbe di affossare definitivamente le nostre banche (nei cui forzieri si trovano circa 400 miliardi di titoli di stato italiani, pari al 10% degli asset totali). Molte altre alternative non sembrano esistere.
Christian Odendhal, capo economista del Centre for European Reform, spiega: “Non adottare stimoli e sperare in meglio molto probabilmente aumenterebbe anziché ridurre l’onere del debito a medio termine”, mentre “se la Bce sostenesse pienamente lo stimolo del recupero, i moltiplicatori probabilmente sarebbero elevati” consentendo di evitare il peggio (il default del debito pubblico tricolore). Peccato che lo stesso Odendhal ricordi come la Germania continui a rispondere “Nein! Nein!” a chi chiede l’emissione di eurobond e pretenda “una exit strategy dalle attuali misure anti crisi e violazioni delle regole in Europa”.
In questo scenario pre-apocalittico un ruolo non di secondo piano giocheranno anche le agenzie di rating. Ad oggi, il rating sovrano dell’Italia per Dbrs è pari a “BBB (high”) con outlook stabile, tre gradini sopra il livello “junk” (titoli “spazzatura”), per S&P e Fitch a “BBB” con outlook negativo, due gradini sopra il “junk”, e per Moody’s a “Baa3”, sempre con outlook negativo, solo un gradino sopra il livello “junk”. Se i titoli di stato italiani diventassero titoli “spazzatura” la Bce potrebbe avere problemi ad acquistarne, anche se potrebbe essere concesso un “waver” come quello dato in questi giorni ai titoli di stato greci (già a livello “junk” ma ugualmente acquistati dalla Bce).
Una concessione che, assieme alla preannunciata “flessibilità” nell’applicazione della capital key (la regola che vuole gli acquisti di titoli di stato effettuati in base alla concorrenze delle diverse banche centrali nazionali al capitale della Bce stessa) da qui a fine anno rappresenta un chiaro segnale dell’impegno di Eurotower per evitare che l’incubo di un default dell’Italia possa concretizzarsi. Pericolo che all'orizzonte, visti i livelli futuri di debito e i bassi tassi strutturali di crescita del nostro Paese da cui dipende il grado di sostenibilità dell'indebitamento, c'è.