Economia
Coronavirus, multinazionali in quarantena. Sul Pil effetti peggio della Sars
Le grandi multinazionali presenti nel ricco mercato cinese hanno stoppato le attività per tutelare i propri dipendenti e non esporsi alla diffusione del virus
McDonald’s, Starbucks e Toyota. Ma anche Honda, Apple, Disney, Novartis, British AirWays, Lufthansa e United Airlines. L'espansione del Coronavirus sta generando ripercussioni sempre più evidenti sul tessuto economico e sociale del Dragone, con le grandi multinazionali presenti nel ricco mercato cinese che hanno messo in quarantena i propri stabilimenti per non mettere a rischio i propri dipendenti e non contribuire alla diffusione del virus. Epiedemia, che secondo gli ultimi bollettini, ha già provocato 132 decessi, infettando circa sei mila persone.
L’ultima in ordine di tempo ad abbassare le saracinesche è stata la giapponese Honda che sulla scia di quanto fatto dalla connazionale Toyota, ha annunciato un prolungamento della sospensione della produzione, allungando di fatto il Capodanno cinese, in due stabilimenti in Cina (dal 3) fino al 9 febbraio, fabbriche che hanno una capacità complessiva di 850 mila dueruote sfornate ogni anno, circa il 40% della produzione totale di motociclette nel Colosso d’Oriente.
Nonostante un miglioramento delle relazioni economiche fra Washington e Pechino grazie al raggiungimento dell’accordo sulla “Fase Uno", anche su impulso della Casa Bianca, Corporate America ha impresso uno stop alla propria attività nella seconda economia mondiale. A cominciare dalle grandi compagnie aeree per cui l'amministrazione Trump sta valutando la possibilità di sospendere i voli verso la Cina.
In attesa di capire le indicazioni che arriveranno dalla Casa Bianca, il colosso dei cieli a stelle e strisce United ha annunciato la sospensione di "alcuni voli" verso Pechino, Shanghai e Hong Kong tra il primo e l'8 febbraio. Strada seguita anche dalla compagnia aerea di Hong Kong Cathay Pacific, dalla finlandese Finnair e dalla giapponese All Nippon Airways (però solo per i voli fra Tokyo e la città cinese di Wuhan, considerata l’epicentro del virus).
Più drastiche invece le decisioni della British Airways, della tedesca Lufthansa (con le controllate Swiss Air e Austrian Airlines) e di Air Canada che hanno cancellato tutti i suoi voli da e per il paese asiatico, del gruppo aereo indonesiano Lion Air, che possiede la più grande flotta dell'Asia sud-orientale e che serve oltre 15 destinazioni (anche attraverso Batik Air) e di tre compagnie birmane che collegano il paese con la Cina, la Myanmar National Airlines, Air KBZ e Myanmar Airways International (stop totale dei voli dal primo febbraio).
Dopo Mc Donald’s, ha deciso di abbassare le saracinesche in più di metà dei propri negozi cinesi anche un altro colosso a stelle strisce, Starbucks, uno stop che hanno puntualizzato dal quartier generale del gruppo fondato da Howard Schultz sarà temporaneo.
Sempre fra le Big Corp operanti in Cina, Apple ha limitato i viaggi dei dipendenti in Cina e il Ceo Tim Cook ha spiegato che alcune filiali della società nel Dragone, Paese che ospita la maggior parte degli stabilimenti produttivi della Mela morsicata, saranno chiuse fino al 10 febbraio, proprio su raccomandazione del governo cinese. E un altro big di Corporate America come Disney ha chiuso i suoi due grandi pachi di divertimento, a Shanghai e a Hong Kong.
Il colosso svedese dell'arredamento Ikea ha annunciato che chiuderà, fino a nuovo ordine, metà dei suoi negozi in Cina, per contribuire alla lotta alla diffusione del virus e anche la svizzera Novartis sta adottando le precauzioni necessarie per assicurare la sicurezza dei suoi dipendenti, adottando procedure di sicurezza adeguate per la supply chain.
Oltre ad impattare sul business delle multinazionali (in Borsa gli effetti sono evidenti, con i mercati azionari globali che, come fatto sapere da Bloomberg, hanno bruciato oltre un miliardo e mezzo di dollari di capitalizzazione da quando è scoppiata l’epidemia; oggi l’Hang Seng di Hong Kong ha riaperto dopo la lunga pausa del Capodanno lunare mettendo a segno un tonfo di quasi il 3%), il Coronavirus avrà effetti depressivi sull’economia cinese e a cascata sull’economia mondiale.
Nonostante l'area di Wuhan, un importante centro logistico, dell'auto e dell'acciaio, isolato e “chiuso” dal governo di Pechino, contribuisca solo con 214 miliardi di dollari al Pil della Cina (l’1,6%), secondo gli economisti della banca nipponica Nomura gli effetti complessivi sul Paese della nuova epidemia saranno peggiori di quelli registrati nel 2003 causato dallo scoppio della Sars, quando la crescita del Pil di Pechino rallentò di due punti percentuali dall’11,1% al 9,1%. Impatto che, in secondo battuta, rischia di fare molto male all'intero globo.
In Cina infatti è già in atto una frenata (il tasso di crescita è il più basso degli ultimi trent’anni: appena il 6,1% nel 2019, tasso che secondo le ultime previsioni del Fmi scenderà quest’anno al 6% e il prossimo al 5,8%) e il maggiore peso economico del Dragone amplificherà gli effetti. Ai tempi della Sars, infatti, la Cina rappresentava, secondo i dati della World Bank, il 4,2% del Pil mondiale, contro l’attuale 16%. Circa un quarto rispetto a oggi e non aveva ancora la stessa fame di materie prime.
Dopo il ritrovato ottimismo per la tregua commerciale fra Trump e Xi Jinping, il Coronavirus si candida a essere quel cigno nero che può far tornare le montagne russe in Borsa.
@andreadeugeni