Economia
Covid, occupazione giù e mancanza sussidi primi problemi. Dati choc Usa
In Italia non riusciamo a fare un piano per riaprire le scuole. L’economia lancia l’allarme. Il primo problema resta l’occupazione
Mentre l’Italia si sta avvitando sul tema “apertura delle scuole”, siamo ancora lontani da un piano intellegibile e condiviso dai presidi e mancano 2 settimane all’evento, sembrano esserci alle porte problemi più gravidi di conseguenze: la tenuta dell’economia mondiale. La capacità di reagire immediatamente con massicce quantità di risorse da immettere nelle economie nazionali potrebbe limitare i danni più rilevanti nell’occupazione generale, danni ancora da vedere. Ma in queste settimane la questione non sembra preoccupare il dibattito pubblico italiano. Sui giornali internazionali invece si è fatto largo un sentimento di attesa, guardando all’inverno con trepidazione.
La contrazione del Pil Usa del 31,7% e un milione di statunitensi con il sussidio di disoccupazione sono solo l’antipasto di un contesto negativo mai visto di recente. Gli effetti dell’economia Usa, in pessime acque, si sommeranno a quelli degli altri Paesi (anche ai nostri), aspettando le reazioni della Borsa che potrebbe far degenerare il quadro. Decine e decine di aziende Usa, non reggendo l’impatto del Covid, stanno continuando a licenziare. E impedirlo per decreto potrebbe procurare un effetto ancora peggiore, alla lunga spegnendo le aziende. Il sito layoffs.tech sta tracciando i tagli in tempo reale. I settori che restano fra i più colpiti sono l’Automotive, i viaggi e in particolar modo le compagnie aeree, la ristorazione, il mondo dell’intrattenimento e anche tutto quell’indotto tecnologico afferente questi settori.
Cnbc attribuisce ad United Airlines ben 36.000 licenziamenti. Usa Today parla di 25.000 licenziamenti per American Airlines. Company Announcement ha previsto per Linkedin 960 licenziamenti. Alcoa, terzo produttore di alluminio la mondo, 700 licenziamenti. Un effetto indiretto questo del crollo dell’Automotive. E sono solo alcune delle tantissime aziende in difficoltà che layoff ha tracciato.
Non si sa come e quanto le domande interne delle economie nazionali possano reggere la situazione.
Intorno al 10 agosto negli Stati Uniti è ripartito un piano massiccio di aiuti nei confronti di lavoratori, studenti e disoccupati. Donald Trumph ha addirittura scavalcato il Congresso per ampliare il sostengo, opzione legalmente consentita anche se il Congresso è l’ente che tradizionalmente controlla la spesa pubblica.
Mettersi nei panni di chi lavora ma senza garanzie di copertura, nel caso si sia colpiti dal Coronavirus, dovrebbe essere d’obbligo contro la diffusione della pandemia ma anche per far ripartire l’economia. I due aspetti sono perfettamente correlati. E non è solo un problema Usa. Perché se chi si ammala viene isolato ma resta senza entrate o sussidi la questione si complica con l’effetto preventivo di chi è ammalato di non dichiarare il contagio, al fine di continuare le proprie attività per evitare di restare senza denaro: il mondo del lavoro non è fatto solo di dipendenti pubblici, garantiti a 360 gradi, come si pensa in Italia.
I sussidi di disoccupazione Usa saranno di 400 dollari a settimana (erano inizialmente di 600 dollari) per quanto concerne la quota a carico dello Stato federale. Ed è stato sospeso il pagamento delle tasse sui salari sino a fine anno per chi guadagna meno di 100.000 dollari. Misure radicali a cui si sommano una moratoria sugli sfratti e la posticipazione del pagamento dei prestiti universitari azzerando gli interessi almeno sino alla fine del 2020. Un piano che si intreccia con le prossime presidenziali di novembre e che a seconda del vincitore (Trumph o Joe Biden del Democratici) delineerà interventi diversi.
Malgrado una debole ripresa nei mesi di maggio e giugno, determinata da un graduale ritorno alla normalità, l’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) specifica che gli indicatori rimarranno su bassi livelli con una forte contrazione dell’economia. Sperando non arrivi una nuova ondata invernale del virus a cui i Paesi meno preparati, come il nostro, potrebbero reagire in modo scomposto non avendo né un piano pandemico né un sistema capillare ed efficace di immissione di liquidità nel sistema.