Economia

Dl Imprese, Tamburi: "Soldi subito, via la burocrazia. Rimborsi a 8 anni"

Di Giovanni Tamburi

L'analisi di Giovanni Tamburi, presidente e amministratore delegato della Tamburi Investment Partners (Tip)

Essendo stato il primo, in Italia, ad aver voluto suggerire un progetto di politica industriale minimamente articolato per far fronte all’attuale emergenza, a seguito dell’annuncio del decreto liquidità e della moltitudine di critiche che lo stesso decreto ha avuto, sono stato richiesto di qualche commento specifico. Purtroppo il testo finale - e preciso - non è ancora noto, per cui ogni commento si basa sulle parole di Conte e sulle bozze che stanno circolando. In generale si deve giudicare positivamente un decreto che libererà centinaia di miliardi di nuova finanza, che parte con una grande attenzione alle piccole aziende e che finisce con uno specifico stanziamento alle aziende maggiori e agli esportatori.

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Per cui di fatto un simile provvedimento, mirato a salvare il posto di milioni di lavoratori, è positivo. Ma veniamo alle critiche. La principale si basa sul fatto che, dovendo essere ancora ottenuto un via libera a livello europeo per l’attuazione di buona parte delle norme, il decreto secondo alcuni è “scritto sull’acqua” ed un giudizio vero potrà esserci una volta che tale via libera sia stato ottenuto; la logica sembra però essere che i nostri governanti, già ben impegnati a combattere in tali sedi sugli argomenti a monte, cioè sulle modalità di reperimento delle necessarie alle coperture, abbiano quanto meno concordato (o copiato) i principi cardine del provvedimento e che pertanto non ci si debbano aspettare stravolgimenti.

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Inoltre, la parte più corposa - in termini di ammontari - è simile a quanto già deliberato in altri paesi dell’UE, per cui non resta che auspicare che, nella sostanza, resti così. La seconda e più fondata critica è che, essendo previsto nel decreto, almeno per le erogazioni più rilevanti, un ok non solo della SACE in quanto ente garante delle operazioni più corpose, ma anche di uno o addirittura due ministeri, la farraginosità del processo farà sì che le lungaggini per le approvazioni saranno tali da non risolvere il problema qual è oggi. Cioè di fornire liquidità alle imprese proprio adesso che ne hanno bisogno in quanto i costi (dipendenti, fornitori, utenze, ecc) continuano ad essere dovuti mentre i ricavi si sono azzerati.

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Credo che chiunque capisca che se il Governo non trova una soluzione rapida ed immediata a tale questione, quando i soldi diventeranno erogabili una buona parte del sistema industriale del paese sarà perso, irrecuperabile. Il vero cardine a questo punto, come si è appena visto per il ponte Morandi, dovrebbe essere quello di cogliere l’occasione di una erogazione senza precedenti per spazzare via i balzelli burocratici che da decenni bloccano il paese, non inventare un metodo che debba avere tre o quattro autorizzazioni da enti diversi. Così è un’assurdità.

La terza critica riguarda cinque aspetti, molto connessi tra loro: il fatto che i “nuovi soldi” non siano a fondo perduto, che le garanzie pubbliche non siano totali, che la durata dei prestiti sia troppo breve, che ci siano le banche “di mezzo” e che il tasso di interesse risulti elevato. Ho considerato insieme questi aspetti sia perché quanto prospettato dal governo è molto in linea con quanto avevo proposto, sia perché vedo innanzitutto un tema, che definirei “filosofico”. Cioè che se in un paese come il nostro si fosse deciso di fare dei regali veri, totali, avremmo avuto un assurdo, iniquo ed ingestibile assalto alla diligenza.

Mi spiego: perché uno dei paesi più indebitati al mondo, che è tuttora pieno di sommerso e che continua a dare prove di indisciplina - assieme, come si è visto proprio di recente, anche a prove di grande civiltà - dovrebbe regalare, nel vero senso della parola, centinaia di miliardi a cittadini ed imprese? Solo perché c’è questa grande crisi? In teoria anche si, però non sarebbe il momento di dare una prova di vero senso di responsabilità visto anche che la garanzia implicita, cioè quella effettiva, non la da’ nemmeno lo stato italiano, ma deve arrivare dall’Europa?

E che magari questo livello di serietà ci possa facilitare il compito sull’arduo percorso che oscilla tra Mes ed Eurobond? Chi voleva il lancio delle banconote dagli elicotteri, come effettivamente aveva scritto Milton Friedman, è stato deluso ed ora, se vuole ottenere qualcosa, dovrà meritarselo, non pretenderlo gratis. Per meritarselo, o meglio per fare in modo che i nostri soldi, quelli dei cittadini, non fossero sprecati, era necessario innanzitutto che la gestione fosse effettuata da enti in grado di analizzare caso per caso il merito creditizio del richiedente.

Per cui ci voleva non uno Stato erogatore diretto, ma la SACE e delle banche, certamente in grado di valutare almeno le operazioni di maggiore dimensione. Ineccepibile, almeno in teoria. Altrettanto ineccepibile, sempre in ottica di responsabilizzazione di tutti, il fatto che le garanzie pubbliche non siano totali, cioè quasi mai per il 100% delle somme erogate, anche qui per evitare furbizie e tentativi di approfittare della situazione; non solo ma in questo modo la stessa banca erogante sarà chiamata ad assumere una quota del rischio e pertanto a partecipare, seppur per una quota marginale - ma globalmente rilevante come sistema - ad ogni operazione.

E comunque, per le operazioni più piccole, hanno previsto che si possa arrivare al 100% utilizzando i Confidi. Sul livello degli interessi e sul costo delle garanzie va chiarito che i tassi che comunque emergeranno da tali operazioni saranno relativamente bassi - 1/2% - certamente interessanti in termini sia assoluti che relativi per la maggior parte delle piccole ed anche delle medie imprese e pertanto non incideranno sui bilanci in maniera tale da mettere in difficoltà nessuno.

Ovviamente i contestatori avrebbero voluto tassi a zero, ma c’è così tanta differenza da continuare a lamentarsi? Sulla durata invece si sarebbe potuto fare di più, anche se chiunque, nell’analizzare qualsiasi business plan, normalmente storce il naso se l’azienda in esame non è in grado di ripagare tutti i propri debiti in sei, sette anni. Probabilmente questo vincolo è più figlio della cultura europea di alcuni dei nostri ministri e pertanto lo si sarà inserito per essere più credibili, visto che mai dall’Europa ci avrebbero potuto avallare dei prestiti troppo parenti dei cosiddetti “a babbo...”.

Se pertanto in sede di conversione del decreto si potessero allungare di almeno due anni i termini del rimborso, anche nell’ottica di cercare di dare una visione propulsiva e pro-ciclica a tali erogazioni, non sarebbe male. E per gli enti eroganti e garanti cambierebbe pochissimo. A chi non condivide queste considerazioni viene opposto il caso dell’imprenditore, con 30 dipendenti, che ha già dichiarato di preferire di chiudere l’azienda “piuttosto che avere dei soldi a debito, da dover anche rimborsare”.

È comprensibile che la crisi di questi giorni possa far cambiare le logiche di molte cose ma, con i soldi e le tasse della collettività, qualcuno darebbe a persone così dei (propri) soldi a fondo perduto? Pochi invece hanno criticato il fatto che non c’è ancora alcuna certezza sul pagamento immediato dei quasi cinquanta miliardi di debiti della pubblica amministrazione. Ma come si può pensare che possa essere credibile un programma “poderoso” da molte centinaia di miliardi, se non si mette subito in pagamento la totalità del pregresso? Non solo ma non sarebbe necessario e serio includere la possibilità di compensazione di tutti i crediti verso l’erario, in primis quelli legati all’IVA, con qualunque pagamento?

Infine, per rendere più completo ed armonico il programma proposto, si doveva e si deve ancora sospendere il pagamento di tutte le tasse, contributi ed IVA per parecchi mesi, fino ad esempio a novembre, per evitare di sconfinare dall’attuale esercizio, ma per dare quel necessario respiro, immediato, sui soldi che lo stato pensa di incassare ma che molte aziende o non hanno o non possono dedicare, finché i fatturati non torneranno, ad una controparte così improduttiva.

L’attuale previsione, oltre ad essere assurdamente breve (entro giugno) con il parametro del fatturato di aprile e con altri paletti a dir poco confusi (almeno nei testi in circolazione ad oggi) può solo creare altre incertezze. Come hanno scritto tutti, dovunque, l’unica cosa che realmente non manca, oggi, sono le incertezze; è proprio necessario aggiungerne altre quando invece nei proclami si vuole dare la sensazione opposta?