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Economia
Def, al governo servono oltre 20 mld. Meloni e l'incubo dei conti pubblici
Giorgia Meloni

Meloni e l'incubo dei conti pubblici

È necessario un aumento del PIL solo per finanziare nuovamente gli sgravi temporanei per famiglie e imprese. La premier non ha ancora deciso come risolvere la situazione finanziaria dopo l'estate. Il Tesoro ha tempo fino al 20 settembre per aggiornare il quadro di bilancio. Lo scrive La Stampa. Basterebbe fare alcune telefonate ai funzionari che hanno contribuito agli ultimi calcoli sui costi dei Superbonus edilizi. Questi conti, se analizzati attentamente, smontano almeno in parte la narrativa secondo cui la responsabilità è interamente del governo precedente.

Ieri, durante una conferenza stampa, Giancarlo Giorgetti è apparso piuttosto teso. Ha ricordato di aver lanciato l'allarme in tempi precedenti, il che è vero: è accaduto il 16 febbraio dell'anno scorso. Nonostante i suoi sforzi per porre fine a quel grande spreco di denaro, le agevolazioni per la ristrutturazione delle case hanno continuato a costare novanta miliardi solo nel 2023, molto più dell'anno precedente, rappresentando il 40% del totale.

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La decisione del Tesoro e di Palazzo Chigi di non presentare il quadro di bilancio per il 2025 nel Documento di economia e finanza è comprensibile. Poiché ci troviamo in una fase transitoria delle nuove regole europee, Giorgetti ha deciso di prendersi tutto il tempo necessario, fino al 20 settembre. Tuttavia, è vero che altri governi hanno rinviato le decisioni sulle politiche economiche all'autunno, ma lo hanno fatto in situazioni di emergenza o come governi dimissionari. Dietro queste attenuanti c'è una realtà che la maggioranza in campagna elettorale non può ammettere completamente: la premier non sa da dove cominciare per risolvere la situazione finanziaria.

Coloro che sono entrati di recente a Palazzo Chigi hanno incontrato volti piuttosto preoccupati. Dire la verità a due mesi dalle elezioni non è un'opzione, e le discussioni su cosa fare dopo l'estate stanno causando gravi mal di testa. Basta fare i conti su ciò che sarebbe necessario solo per confermare le maggiori spese decise quest'anno, le quali hanno garantito un aumento del salario fino a cento euro in più in busta paga per milioni di lavoratori dipendenti. La conferma della decontribuzione per i redditi fino a 35mila euro costa dieci miliardi, mentre la proroga dell'unificazione delle prime due aliquote Irpef richiede altri quattro miliardi.

Poi ci sono altre spese, come il credito di imposta per le imprese delle zone economiche speciali, il taglio dell'aliquota sui premi di produttività e la riduzione del canone Rai. Tutto sommato, si parla di una base di venti miliardi di euro. Senza nuove tasse o tagli di spesa, siamo già un punto sopra il deficit previsto per il 2025, il quale sarà il primo anno in cui entreranno in vigore le regole del nuovo Patto di Stabilità. Sulla carta, il governo dovrebbe aggiustare i conti di almeno dieci miliardi, ma probabilmente potrà contare sulla comprensione della Commissione europea dimissionaria, che non chiederà all'Italia una manovra correttiva in corso d'anno.

Prima dell'esplosione dei costi dei Superbonus, il quadro per l'anno elettorale europeo sembrava promettente per la premier, ma i numeri "devastanti" del 2023 hanno cambiato tutto. "Ora Meloni si trova in una tempesta perfetta di vincoli di bilancio e lentezza nel Piano di Ripresa", riassume una fonte tecnica. La polemica tra Giorgetti e il commissario Paolo Gentiloni sui tempi di attuazione del Piano dimostra che questa è l'unica ancora di salvezza. La situazione è tale che nelle conversazioni di palazzo è riapparso il fantasma di un governo tecnico, forse guidato da Draghi.

Queste sono solo suggestioni, niente di più. Una cosa è certa: nessuno sa come Meloni affronterà l'autunno, se non sarà onesta con il Parlamento. Al momento, ciò che preoccupa a Palazzo Chigi è evitare che il decreto che mette fine ai Superbonus subisca lo stesso destino di un anno fa, quando Giorgetti denunciò "una politica scellerata ideata per creare consenso". Non sapeva ancora che quella politica sarebbe stata attuata per un altro anno dalla sua stessa maggioranza di governo.






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