Economia

Emilia: Ferrarini, Maccaferri, Mercatone e... le crisi su cui tacciono Pd-Lega

Andrea Deugeni, Luca Spoldi

Quei dossier lavoro che la politica affronta solo a colpi di slogan. La denuncia dei sindacati nella sfida Bonaccini-Borgonzoni

Il Governo e le opposizioni continuano a guardare alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna come a un test politico di valenza nazionale. Eppure né la leghista Lucia Borgonzoni, sostenuta dal centrodestra, né il candidato del centrosinistra, Stefano Bonaccini, sembrano voler affrontare di petto il tema della crisi del mercato del lavoro, che in Emilia Romagna, nonostante sia una delle regioni traino della manifattura made in Italy, una delle poche che grazie alla forza dell'agroindustria, della ceramica, del packaging e della motor valley è in grado di competere con la locomotiva Lombardia, è da tempo sotto i riflettori per alcune situazioni di difficoltà aziendali che hanno rilevanza anche a livello nazionale.

operaio svimez puglia
 

Ma dai candidati in questione e dai loro partiti di riferimento, Pd e Lega, denunciano i sindacati che seguono da vicino le crisi, non c’è stato nessun accenno in campagna elettorale. Nessuna telefonata ai grandi imprenditori del territorio che stanno cercando di rilanciare le prospettive garantendo anche il mantenimento occupazionale. Aziende che danno lavoro a migliaia di addetti considerando anche l’indotto di filiera. Secondo i dati dell’Osservatorio di Mondaini Partners, in particolare, sarebbero in uno stato di crisi oltre 1.900 imprese, di cui ben 267 in crisi conclamata, altre 559 in uno stadio di maturazione.

A soffrire di più sono le imprese operanti nelle province di Ravenna, Ferrara e Rimini (dove la percentuale di aziende in crisi è pari o superiore al 40% del totale, contro il 37% del dato medio regionale), con una maggiore incidenza della crisi per le imprese di piccola e media dimensione, in particolare quelle operanti nei settori delle costruzioni, dell’agricoltura e dei trasporti. La Regione, da parte sua, all’inizio dello scorso anno aveva ricordato di essersi impegnata in una sessantina di vertenze, di cui una decina congiuntamente col Ministero dello Sviluppo economico (Mise) dove sono tuttora aperti i tavoli: Ferrarini, Saeco, Stampi Group, Demm, Berco, Alpi Legno, l’ex Bredamenarinibus, la Tecno, il Gruppo Artoni, Mercatone Uno e Berloni sono solo alcuni dei casi affrontati che grazie alla concertazione tra le parti coinvolte avevano consentito di salvare il 65% dei posti di lavoro coinvolti, evidentemente registrando tuttavia esuberi per il restante 35%. In soldoni a inizio 2019 su 12.500 posti di lavoro a rischio ne erano stati salvati oltre 8 mila, con l’eliminazione però di quasi 4.500 posti.

Emilia Borgonzoni  APE1
 

Nell’ultimo anno tuttavia la situazione non pare particolarmente migliorata: Ferrarini (800 dipendenti in Italia, che salgono a 1.000 considerando anche l’estero e l'indotto) resta in attesa di conoscere, il 13 maggio, il parere dei creditori, chiamati in Tribunale a esprimersi sulla proposta di concordato preventivo presentata dall’azienda che, in caso di via libera, passerebbe sotto il controllo del gruppo valtellinese Pini (1,6 miliardi di euro di fatturato, oltre 3.500 dipendenti in Europa), pronto a rilevare l’80% del concorrente emiliano sottoscrivendo un aumento di capitale da 30 milioni di euro.

Una crisi per i sindacati paradossale visto come l'azienda sia riuscita ad andare avanti e a lanciare nuovi prodotti (anche assumendo) solo lavorando su base attiva e senza il supporto delle banche. Istituti che ora puntano a immaginare un concordato concorrente. 

Emilia Bonaccini APE
 

Altra grande crisi aziendale in Emilia Romagna è quella della Galassia Maccaferri dell'ex presidente di Confindustria Gaetano Maccaferri, un gruppo di 32 società controllato della holding Seci attive nei settori delle costruzioni, dell’energia, business in grande sofferenza, dell'ingegneria e in quello dell’immobiliare, gruppo finito in concordato sotto il peso di circa 650 milioni di euro di indebitamento a fronte di un fatturato complessivo di oltre un miiardo di euro e che dà lavoro in tutto a 4.500 dipendenti. 

Poco prima di Natale è poi arrivata la “bomba” della chiusura della sede di Ravenna di Schlumberger, una delle maggiori multinazionali di servizi per il settore petrolifero, lasciando a casa una dozzina di lavoratori. Una crisi che è l'epifenomeno Idi quello che sta accadendo in Romagna dove il divieto alle trivellazioni nell'Adriatico rischia di causare contraccolpi a un settore che a Ravenna e dintorni impiega circa 10 mila addetti.

Licenziamenti sospesi per ora per i 32 dipendenti di J Colors, azienda di vernici di Finale Emilia che lo scorso novembre aveva annunciato di voler chiudere lo stabilimento, in attesa di valutare eventuali manifestazioni d’interesse. 
A Bologna è ancora aperta la trattativa sul numero degli esuberi del gruppo La Perla. Per il gruppo della lingerie di lusso la priorità anche in questa fase dopo il via libera alla prosecuzione della cassa integrazione straordinaria fino al 31 ottobre di quest’anno per 65 dipendenti, la priorità è il completamento della fase di ristrutturazione annunciata all’inizio dell’estate scorsa, quando l’azienda dichiarò 126 esuberi su un totale di 1.200 dipendenti.

Ci sono poi crisi i cui esiti vengono descritti, almeno dal titolare del Mise, il ministro Stefano Patuanelli, come positivi, ma la realtà lascia ancora molto perplessi gli interessati. Si tratta in particolare delle ex Bredamenarinibus (con stabilimento a Bologna) e Irisbus (che invece ha gli impianti a Flumeri, in provincia di Avellino), rilevate dalla Industria Italiana Autobus (società che vede tra i soci Invitalia, al 30% circa, oltre a Leonardo e al gruppo turco Karsan, entrambi circa al 20%).

L’attività è effettivamente “in fase di rilancio” come ha dichiarato il ministro, ma la gran parte, per non dire la quasi totalità, della produzione è svolta in Turchia, limitandosi gli impianti italiani ad apporre poco più del marchio sui prodotti. L’intenzione, confermata da Patuanelli, è di riuscire a riportare in Italia il 60% della produzione entro l’anno e il 100% entro il 2021, in presenza di nuove importanti commesse attese nel corso dell’anno. Ma di buone intenzioni, si dice, sono lastricate le strade dell’inferno quindi la prudenza è quanto meno d’obbligo.