Economia

Evergrande non preoccupa l'Occidente. Al Nyse lo tsunami solo su Vanguard

di Marco Scotti

La crisi del mattone cinese e gli impatti sistemici

Evergrande è con l’acqua alla gola, dunque, perché è a corto di liquidità, non riesce a pagare i fornitori, non può avviare nuovi progetti e non può onorare le scadenze. Un circolo vizioso dal quale è complesso uscire. E il partito ha già fatto capire chiaramente che non ci saranno aiuti statali, dichiarando altresì che Evergrande non potrà pagare gli interessi sul debito in scadenza il prossimo 20 settembre.

Non rimane, dunque, che avviare una soluzione di ristrutturazione del debito. Sì, ma come? La crisi di Evergrande sta trascinando con sé anche altre realtà: la prima è Suning, che è già flagellato da una situazione debitoria pesante (come sa bene anche l’Inter) e che ha acquistato una quota vicino al 4% del colosso dell’immobiliare. Come farà a rientrare dell’investimento profuso? Il fondatore di Evergrande, hui Ka Yan, è uno degli uomini più ricchi del mondo, ma il suo patrimonio da oltre 20 miliardi di dollari non può bastare neanche a tamponare la situazione nell’immediato.

In tutto questo c’è da capire come una crisi così gigantesca in Cina potrebbe avere effetti nel mondo Occidentale. I fondi americani sono quasi fuori dalla partita, e, complessivamente, è in mani straniere una quota intorno al 2% del totale con Vanguard Group che è il più esposto con lo 0,63% del capitale totale.

Ci troviamo di fronte a un’altra Lehman Brothers? No, perché la Cina è storicamente meno interconnessa con l’economia globale e il Covid non ha fatto altro che acuire questa tendenza. Ma certo le scene dei creditori che si assiepano davanti agli uffici di Evegrande hanno riportato la memoria a quell’ottobre del 2008 che cambiò, forse per sempre, il mondo della finanza.