La crisi di British Steel, come quella dell’ex Ilva e della stessa Arcelor Mittal, non è dovuta al caso ma a un mix diabolico che da anni perseguita l’industria dell’acciaio: gli alti costi della materia prima (minerale di ferro) e una domanda molto debole che pesa sui prezzi di vendita. Ora il governo accusa Acelor Mittal di non tener conto delle “magnifiche sorti e progressive” legate alle misure di sostegno e rilancio dell’economia europea che la Ue (e i singoli stati al suo interno) stanno varando.
Peccato che queste misure per ora non abbiano avuto ancora alcun impatto sulla domanda e rischino di non averne ancora per molti mesi, tanto che l’associazione mondiale dei produttori (la World Steel Association) proprio a inizio mese pur segnalando come gradualmente le industrie di molti paesi stiano riaprendo dopo la serrata generale di aprile e maggio dovuta all’emergenza coronavirus, “i settori dei macchinari meccaniche e automobilistico sono fortemente esposti a uno shock della domanda prolungato, nonché all’interruzione delle catene di approvvigionamento globali” e questo gioca contro una possibile ripresa del settore dell’acciaio.
Non solo: anche le misure di sicurezza anti-Covid19 rischiano di portare “potenzialmente a una minore produttività e ad un prolungato ciclo di produzione”, che di nuovo non gioca certo a favore di una ripresa. Morale: quest’anno la domanda di acciaio rischia di calare del 6,4% (ma nei soli paesi sviluppati si teme un crollo del 17,1%), mentre nel 2021 la domanda di acciaio dovrebbe crescere del 3,8% rispetto a fine 2020 (+7,8% per i soli paesi sviluppati), ma il risultato netto sarà una domanda inferiore ai livelli 2019 per almeno un altro biennio se non più.
Arcelor Mittal sta certamente provando a ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, e l’analisi di Boston Consulting Group potrà contribuire a definire meglio gli eventuali margini di trattativa, ma illudersi che si tratti solo di una tattica negoziale da parte di un gruppo leader di un mercato in salute, o che ci siano decine di altri compratori pronti a lanciarsi in un’asta al rilancio pur di mettere le mani sull’ex Ilva rischia di essere l’ennesimo abbaglio le cui conseguenze saranno pagate dai lavoratori del gruppo e probabilmente dai contribuenti italiani tutti.
Luca Spoldi
Commenti