Economia

Fca guarda alla fusione con Psa. Altro che allarme coronavirus. Ma...

Luca Spoldi

Il titolo rimbalza del 4,6% in borsa dopo l’annuncio del dividendo e le rassicurazioni di Carlos Tavares, ma in Cina...

Che la pericolosità del coronavirus Covid-19 sia più in ambito economico che per quel che riguarda la salute umana dovrebbe essere pacifico, visto che il virus presente sì un tasso di letalità (ossia di morti in percentuale ai casi conclamati o sospetti) relativamente elevato (si stima attorno al 2%), ma la mortalità (ossia il numero di decessi in relazione alla popolazione) appare destinata a rimanere al di sotto dell’uno su 10mila.

 

L’impatto in ambito economico, destinato a dipendere dalla diffusione dell’epidemia dentro e fuori la Cina e dalla durata dell’epidemia stessa, è ancora difficilmente stimabile ma già certo, soprattutto per alcuni comparti tra cui quello automobilistico. E’ di oggi il dato delle vendite di autovetture in Cina, crollate in gennaio (19esimo mese consecutivo di calo) del 20,6% rispetto a dicembre a 1,6 milioni di unità, un livello del 27,4% più basso rispetto a quello del gennaio 2019. 

 

Non solo: secondo i dati della China Association of Automobile Manufacturers (Caam) a febbraio l’impatto del coronavirus si rifletterà in una flessione ancora più ampia (nelle prime due settimane le vendite si sono praticamente azzerate, con cali settimana su settimana del 92% nella prime e del 96% nella seconda), tanto che le stime che circolano parlano di un calo del 70% nell’arco del mese ovvero del 40% nei due mesi cumulati. Il bilancio finale potrebbe essere attorno ad un 10% di immatricolazioni perse, o quanto meno rinviate, nel primo semestre di quest’anno rispetto all’anno precedente.

 

Non sembrano tuttavia risentire della notizia i principali costruttori occidentali, in grado di tenere il passo del rimbalzo dei listini a partire da Fiat Chrysler Automobiles (+4,62% a fine giornata col titolo nuovamente sopra gli 11,78 euro per azione). Merito delle parole del futuro Ceo di Psa-Fca, Carlos Tavares, secondo cui “entrambe le società” in procinto di fondersi per dar vita al quarto maggior gruppo automobilistico mondiale “godono di buona salute”.

 

Certamente ha aiutato anche la decisione del Cda del gruppo italiano di fissare a 70 centesimi per azione il dividendo ordinario da distribuire quest’anno a valere sui risultati 2019. Ai livelli attuali il rendimento da dividendo è infatti pari a circa il 6,2%, più di tre volte tanto quanto rende al momento investire in un Btp a 30 anni (2% all’anno) e scusate se è poco.

 

Sempre Tavares oggi ha detto di non prevedere grandi ostacoli normativi alla fusione, aggiungendo di aver già presentato 14 delle 24 richieste di approvazione alle autorità garanti della concorrenza necessarie per portare a termine l’operazione. Al momento Tavares ha ribadito non esserci piani per cambiare qualcosa nel “vasto portafogli di marchi” all’interno del nuovo gruppo. “Decideremo con le persone che guidano quei marchi qual è il modo migliore per andare sul mercato”, anche per “ridurre eventali cannibalizzazioni se ve ne fossero”.

 

Sebbene con una presenza marginale in Asia e in particolare in Cina, neppure i due gruppi sono tuttavia completamente immuni all’impatto del coronavirus. Finora Psa ha saputo mostrare numeri “molto solidi”, avendo già tagliato i costi in settori come l’acquisto di componenti dopo l’integrazione di Opel e Vauxhall e lanciato sul mercato con successo modelli a più elevata marginalità come la Citroen C5 Aircross che hanno contribuito a incrementare i ricavi oltre le attese a 74,7 miliardi di euro e l’utile netto al livello record di 3,2 miliardi di euro.

 

Ciò ha consentito di aumentare quest’anno del 58% rispetto al 2018 il dividendo, portandolo a 1,23 euro per azione. Ma contraccolpi del coronavirus vanno messi in conto: lo scorso anno Psa aveva chiuso il suo bilancio in Cina in rosso di 700 milioni di euro, complice un crollo di vendite dovuto allo scioglimento della joint venture con la cinese Chongqing Changan Automobile e solo a gennaio si erano iniziati a intravedere segnali di recupero che l’epidemia rischia di aver spento sul nascere.

 

Fca dal canto suo in Cina vende solo i modelli Jeep (Cherokee dal 2015, Renegade e Compass dal 2016 e il Suv Grand Commander dal 2018) prodotti dalla join-venture Gac-Fiat creata assieme al Guangzhou Auto Group. Le cose non sono tuttavia andate per il verso giusto, con la Cina rimasta l’unica vera spina nel fianco di Sergio Marchionne: se nel 2017 si erano toccati i 202.755 veicoli immatricolati (lo 0,84% del mercato), già nel 2018 si era scesi a 124.514 (0,54% del mercato) per poi crollare a poco meno di 73 mila lo scorso anno (con una quota di mercato quasi azzerata).

 

Gennaio ha infine visto le vendite ridursi ameno di 1.900 unità, il dato peggiore degli ultimi cinque anni rispetto alle oltre 9.200 vetture immatricolate nel gennaio 2019, alle oltre 13.300 dell’anno prime e alle oltre 14.500 nel gennaio 2017. Ma il problema per Fca non è solo relativo all’azzeramento di vendite già di per sé poco significative: il protrarsi della crisi produttiva in Cina rischia di mettere in seria difficoltà anche le fabbriche europee, interrompendo o ritardando fortemente la catena di approvvigionamento della componentistica. Per questo anche se oggi il mercato ha festeggiato, molti analisti consigliano di essere cauti e non cantare vittoria troppo presto.