Economia
Fca ora guarda all'Estremo Oriente: Geely, Great Wall, Chery e Tata
Dopo il no di Parigi, Fca può provare a guardare ad Est. I nomi più probabili? Geely o Tata. Ecco perché
Colpo di scena: quando sembrava solo questione di definire gli ultimi dettagli, il matrimonio Fiat Chrysler Automobiles (Fca) - Renault, potenzialmente allargabile a Nissan (e un domani a Mitsubishi) è saltato. Colpa delle “condizioni politiche in Francia” che impediscono di procedere, spiega una nota di Fca, sottolineando che ora il gruppo italo-americano “continuerà a perseguire i propri obiettivi implementando la propria strategia indipendente”.
E’ la pericolosa conferma che il vento del populismo si sta trasformando anche in ambito economico in un pericoloso ritorno di nazionalismi “anti-globalizzazione” e che, nel caso specifico, le diffidenze reciproche, coi giapponesi di Nissan che hanno sin dall’inizio puntato i piedi chiedendo modifiche sostanziali per dare il loro assenso ad entrare nell’accordo e la politica e i sindacati sia italiani sia francesi che temevano reciprocamente che l’operazione nascondesse una vendita e il rischio di chiusure di stabilimenti hanno prevalso sulla razionalità economica.
La domanda spontanea che si fanno investitori e analisti, mentre il mercato punisce più duramente Renault (in calo di quasi il 7% in avvio di giornata) che non Fca (-1,6%) perché nel capitale di “Regie” il socio pubblico (primo azionista col 15%) appare sempre più ingombrante, è: con chi proverà a “ballare” Fca ora? Con Peugeot potrebbe sembrare la risposta più logica, visto i rapporti consolidati tra le due aziende a livello industriale e la lunga conoscenza reciproca tra le famiglie proprietarie.
Ma anche Peugeot tra gli azionisti ha, indirettamente, lo stato: se la famiglia Peugeot è il socio di controllo col 19,5% dei diritti di voto, alla pari coi cinesi di Dongfeng Motor, il terzo maggiore socio è BPIfrance, banca d’investimenti controllata dalla Caisse des Dépots et Consignations, ossia l’equivalente francese di Cassa depositi e prestiti. Il rischio sarebbe dunque che dopo mesi di (infruttuosi sinora) negoziati, si ottenesse un primo via libera dal Cda per scontrarsi poi con un nuovo muro di gomma.
C’è poi un problema di integrazione a livello sia di gamma prodotti sia di mercati geografici serviti, quindi è improbabile che trattative come quelle con General Motors, che lo stesso Marchionne aveva provato più volte ad aprire, possano riprendere con esiti positivi. Resta l’Asia, il che vorrebbe dire più Cina che Giappone vista la porta in faccia appena ricevuta da Nissan.
Ma viste le tensioni commerciali con gli Usa e le mire espansionitiche di Pechino, il solo accordo possibile con Geely, gruppo automobilistico fondato dal magnate Li Shufu che controlla tra gli altri i marchi Proton, Volvo, Polestar e Lotus (oltre ad avere una partecipazione del 9,7% in Daimler che lo rende il primo azionista singolo del gruppo tedesco), sembrerebbe essere quello di una cessione di marchi.
Difatti da mesi circola sui mercati l’indiscrezione, che finora non è approdata a nessun accordo concreto, di contatti per sondare la disponibilità degli eredi Agnelli a cedere qualche asset di pregio come i veicoli commerciali di Iveco o marchi di “alto di gamma” come Alfa Romeo o Maserati. Decisamente meno probabili appaiono al momento accordi con Great Wall (che pure nel 2017 erano sembrati interessati all’intero gruppo Fca) mentre con Chery sinora Fca è sembrata interessata semmai ad un accordo in Messico, Trump permettendo, che non ad un’alleanza a tutto tondo.
(Segue...)