Economia

Fico chiude. L'ideona: dopo il flop Farinetti riparte con un nome diverso

di Antonio Amorosi

All’inaugurazione tutto il governo Gentiloni. Ora dove sono? Soldi pubblici e privati bruciati. Troppi interessi in ballo, non si poteva chiudere un fallimento

Pronta la nuova versione di Fico, ma sarà una minestra riscaldata? Si chiama ‘Grand Tour Italia’, viaggio nelle regioni. Molto marketing e poca sostanza. 

 

Poche ore fa tra supercazzole, salemelecchi e slinguazzate degli ascoltatori l’Oscar nazionale la butta lì al programma di Alessandro Milan su Radio 24: "Tra le cose che non mi sono venute propriamente bene diciamo che Fico è una di queste, che detto tra parentesi, a me continua a piacere da morire ogni volta che ci vado”

E quindi? 

“Fico va rivisto… Fico chiuderà da fine dicembre”.    

Si è arrivati al primo giro di boa ma non è finita. 

Fico di Farinetti, patron di Eataly, chiude. Ora scrive libri e con la faccia come il bronzo dopo un flop su scala mondiale, dispensa addirittura consigli su come affrontare il futuro. E c’è chi lo invita pure in radio per raccontare la lieta novella di una nuova occasione, migliore di quella di prima. Avanti signori, c’è posto per tutti, vadano, entrino pure. Non basta abbassare la saracinesca e voltare pagina. Eh no, perché s’è giocato coi soldi di molti e non solo coi suoi e anche se ha fatto il giro di ogni media per raccontare le sue ricette da imprenditore “sgamato”, qualcuno non gli ha creduto e ora al nostro Oscar gli tocca andare alla rimonta, con altre storiellette e formulette perché alla Disneyland del cibo sono rimasti gli scaffali pieni e i conti da pagare. 

E qui sta il problema: agli ex comunisti piace il cetriolo, ma non a tutti, partito o non partito che crea megacordate intorno a progetti fallimentari.

“Dove si coltiva e si produce”, diceva lo spot che nel 2017 annunciava la nascita di Fico, il più grande parco tematico agroalimentare al mondo. La “Disneyland mondiale del cibo”, voluta da Oscar Farinetti a Bologna, nella mecca delle Coop, socie del progetto insieme al Comune che cedette 55 milioni in immobili di una partecipata, e che “apriva le porte” ai milioni dei privati, tra cui i giornali locali e le Casse previdenziali dei medici, l’Enpam, le casse dei veterinari, agronomi, avvocati, ingegneri e architetti, periti industriali, periti agrari e agrotecnici, e tutti entusiasti e ora rimasti al palo.

Per adesso pesano le decine di milioni bruciati, sia pubblici che privati, investimenti inutili, milioni di visitatori promessi da tutto il mondo mai visti e la creazione di migliaia di posti di lavoro stabili disattesi. Ma quanto è Fico quello lì! La giusta idea con un po' di furbizia per essere vincenti, come ripeteva in nostro Oscar in ogni tv nazionale che non si sono minimamente interessate a capire cosa ci fosse in ballo.

E non serviva la lampada di Aladino per immaginare che fine potesse fare un megasupermercato con prezzi da lusso, a pochi chilometri da altri, che voleva fare il bio o l’alta qualità a un chilometro e mezzo da uno degli inceneritori più grandi e inquinanti dell’Emilia Romagna, con pochissimi mezzi di collegamento pubblico e quasi nessun appeal sui prodotti proposti che si potevano trovare altrove.

Erano anni che spiegavamo perché i numeri e le strategie di questa americanata non stessero in piedi neanche ipnotizzando gli ex comunisti.

Chissà però dove saranno finiti gli estimatori di punta.