Economia
Gedi, 2/3 di capitalizzazione in fumo. Repubblica, i numeri del grande flop
Quanto c'è di vero nell'accusa di De Benedetti sr ai figli? Da quando l’Ingegnere ha passato la mano, redditività debole e due bilanci chiusi in perdita
Una “furbata” degna del miglior raider di borsa, provare cioè a riprendere il controllo di un gruppo (Gedi è controllata al momento al 45,8% da Cir-Cofide) sborsando il meno possibile, ossia neppure 40 milioni di euro. Fermandosi a un passo dall'Opa obbligatoria. Una cifra che, a 25 centesimi a titolo, appena sopra il minimo storico di 24,4 centesimi visto nella seduta del 9 ottobre scorso, è grosso modo equivalente al Margine operativo lordo consolidato di Gedi (in questi ultimi cinque anni oscillato tra 59,8 e 33,1 milioni di euro l’anno). Certo, Gedi, da un paio d’anni chiude i bilanci in rosso (123,3 milioni di perdita netta di gruppo nel 2017, 32,2 milioni di rosso lo scorso anno) ed anche prima esprimeva una redditività modesta (nel 2015 quando l’utile toccò il massimo dell’ultimo quinquennio, 17 milioni di euro, esso rappresentava meno del 3% dei 605 milioni di ricavi. Redditività debole che ha caratterizzato anche i bilanci post-passaggio di consegne).
Se si fosse fermato qui, si poteva pensare che con il suo blitz Carlo De Benedetti avesse voluto togliere la patata bollente dalle mani dei figli compiendo un gesto “romantico” una “cosa bella” che dimostrava come il vecchio leone avesse ancora voglia “di tornare a una seconda giovinezza”, come ha commentato a caldo Urbano Cairo, editore concorrente in Rcs. Peccato che i figli dell’Ingegnere (Rodolfo, presidente di Cir-Cofide, Marco, presidente di Gedi, ed Edoardo) non l’abbiano intesa allo stesso modo, sottolineando come l’offerta non fosse stata “sollecitata né concordata” e dovesse essere ritenuta “irricevibile”.
Anche perché Carlo chiedeva come precondizione le dimissioni degli esponenti di Cir nel Cda di Gedi, ossia dei suoi stessi figli, accusati direttamente, dopo la replica negativa all’offerta, di aver causato il crollo del valore dell’azienda (due terzi di valore “bruciato” in questi sei anni e mezzo) con una gestione priva “di qualsiasi prospettiva” essendosi concentrati “esclusivamente sulla ricerca di un compratore”. Ma quanto c’è di vero nelle accuse del padre ai figli?
Il passo indietro di Carlo De Benedetti in Cir-Cofide avvenne nel marzo 2013, quando L’Espresso-Repubblica valeva attorno a 70 centesimi per azione. Il passaggio generazionale fu salutato positivamente dal mercato, tanto che esattamente un anno dopo i titoli erano arrivati a sfiorare i 2 euro per azione. Da allora, tra alti e bassi, il prezzo è solo che sceso. Che oltre alle difficoltà del settore editoriale qualcosa non andasse per il meglio ai vertici del gruppo lo si era capito dall’avvicendamento nell’aprile 2018 tra Monica Mondardini, diventata amministratore delegato di L’Espresso-Repubblica nel 2008 e Laura Cioli (ex direttore generale di Sky Italia tra 2008 e 2012 poi top manager di Rcs Mediagroup).
La sostituzione della Mondardini, rimasta vice presidente non esecutivo di Gedi e di cui peraltro Rodolfo De Benedetti ha ribadito la stima per i “risultati molto positivi” ottenuti, avvenne quando il titolo Gedi era ormai a 44 centesimi e non parve convincere del tutto il mercato, tanto che Gedi che nei successivi 12 mesi si limitò a oscillare tra i 30 e i 40 centesimi per azione prima di avviarsi ad un ulteriore calo in questi ultimi mesi. Da notare che ai livelli attuali Gedi non capitalizza che una frazione del suo patrimonio netto, che non rispetterebbero l'attuale passato in questi anni dal 567,4 milioni di fine 2014 ai 523,4 milioni di fine 2018 (tenuto conto anche dell’aumento di capitale da 83,7 milioni del 2017). Forse oltre che per l'assenza di prospettive industriali, anche perché pesano i valori di carico dei quotidiani locali iscritti a bilancio, valori che il mercato giudica elevati e a rischio di impairment.
Per fare un paragone, Caltagirone Editore, che al momento oscilla appena sopra l’euro per azione e capitalizza circa 130 milioni, ossia attorno ai livelli di Gedi, nel marzo 2013 valeva circa 80 centesimi di euro, ha toccato un minimo nel novembre 2016 a poco più di 65 centesimi ma da allora ha recuperato decisamente terreno. I risultati però non sono stati così eclatanti: il margine operativo lordo ha oscillato nell’ultimo quinquennio tra i 3,1 milioni di euro positivi del 2015 e i -1,9 milioni dell’anno successivo (lo scorso anno è stato positivo per 0,8 milioni), mentre il risultato netto di gruppo è stato costantemente negativo, pur passando dai -75,4 milioni del 2013 ai -8,3 milioni dello scorso anno. Il patrimonio netto era inoltre, a fine giugno, pari a 429,2 milioni, ossia un centinaio di milioni circa inferiore a quello di Gedi.
Verrebbe da dire che il mercato, nel caso di Gedi, sia rimasto maggiormente deluso da un appeal speculativo (che oggi invece, anche sulle attese di un rilancio da parte di Romed, ha fatto scattare il titolo del 15,22% a 0,2915 euro) che è poi venuto meno, quando trattative come quella con Flavio Cattaneo e il fondo Peninsula a cui ha fatto riferimento Carlo De Benedetti stesso non sono andate in porto. I risultati, infatti, sono apparsi sostanzialmente in linea con le attese e con l’andamento del settore e non tali da giustificare il tono particolarmente severo dell’Ingegnere nei confronti della gestione dei figli. Colpevoli, sono le accuse del padre, di non avere l'interesse a rilanciare il gruppo.
A meno che, come commenta più di un operatore di borsa, l’entrata a gamba tesa non sia stata congegnata più per far saltare eventuali ulteriori trattative per cedere Gedi che non per tornare in possesso del gruppo. Anche perché l’ingegnere ha quasi 85 anni (è nato il 14 novembre 1934), non proprio l’età in cui si varano startup o si torna a ruoli operativi, anche quando si tratta di attività per le quali si ha sempre avuto una indiscussa passione.