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Economia
Generali, Donnet contro il Ddl Capitali: "Rompe uno schema che funziona"
Francesco Caltagirone e Philippe Donnet

Generali, Donnet distrugge il Ddl Capitali: "Rompe uno schema che funziona bene"

Non che servissero particolari doti da aruspice, ma ora i nodi iniziano a venire al pettine. Con l’approvazione del Ddl Capitali, che qualcuno ha voluto ribattezzare “Ddl Caltagirone” perché risponde a diverse esigenze sollevate dall’Ingegnere, il futuro di Generali cambia profondamente. La battaglia di Mediobanca non a caso è stata una passeggiata di salute, con la lista del cda capeggiata da Alberto Nagel che ha concesso l’onore delle armi agli sconfitti parlando di dialogo costruttivo con Delfin e Milleri. 

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Ma a nessuno è sfuggito che tutte le truppe si stanno già preparando per la nuova battaglia di Trieste. La data segnata con un circolino rosso è quella di aprile 2025. Mancano 18 mesi, certo, ma è ovvio che tutta la tensione si sta dirigendo verso quel momento. Ieri, quasi in sordina, ha parlato Philippe Donnet, l’amministratore delegato di Generali, dicendo testualmente in un’intervista a Il Piccolo che si soleva “qualche perplessità. Se fosse approvato come è adesso, non darebbe un segnale positivo nei confronti del mercato”. Di più: rischierebbe di scompaginare un sistema che fin qui ha funzionato bene. 

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Il problema principale riguarda, ovviamente, il voto maggiorato, un incentivo riconosciuto agli azionisti storici per rendere più interessante il mantenimento della “testa” in Italia, evitando quelle fughe che hanno caratterizzato il recentissimo passato: Brembo, Campari, Exor e via dicendo sono soltanto alcuni dei marchi che hanno scelto la quotazione all’estero proprio perché permette di mantenere il controllo con una quota più bassa, in virtù del voto plurimo.

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Ma Donnet parla anche deliberatamente pro domo sua: nel Ddl Capitali si sostiene che la lista del cda presenti un numero di candidati pari a quello da eleggere più un terzo, in modo che l’assemblea possa votare nome per nome. E il Group Ceo di Generali sa che se alcuni personaggi riceverebbero un plebiscito indipendentemente dalla casacca che portano, lo stesso non succederebbe con altri più dibattuti. Il 20% dei posti, poi, spetterebbe di diritto alle minoranze, erodendo ulteriormente il peso della lista uscente. 

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E dunque Donnet, che sa bene di aver vinto ma non stravinto all’ultima assemblea, inizia a guardarsi intorno speranzoso di qualche sponda. C’è però un segnale politico che è arrivato lasciando tutti piuttosto colpiti: al Senato le opposizioni non hanno espresso voto contrario, ma si sono astenute. Segno che non c’è gran voglia di combattere sulla materia. E in molti iniziano a tremare. 

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