Economia

Giovani e sussidiarietà, una scelta per il Mezzogiorno e per l'intero Paese

Eduardo Cagnazzi

Il professore Carlo Lauro anticipa ad Affaritaliani alcune delle opzioni strategiche del Rapporto per contrastare le emergenze sociali al Sud

Investire sui giovani del Mezzogiorno e sul capitale umano. E’ questa la strada indicata dal Rapporto Sussidiarietà e giovani al Sud a cura della Fondazione sulla Sussidiarietà, a cura di Alberto Brugnoli e Paola Garrone, che sarà presentato questo fine settimana a Napoli. Il Rapporto propone una fotografia del meridione dal punto di vista sociale, economico e istituzionale, letta attraverso una domanda di fondo: cosa serve ai giovani affinché possano essere pienamente artefici del proprio futuro e dello sviluppo dei luoghi ai quali appartengono? Affaritaliani ha chiesto a Carlo Lauro, emerito di Statistica presso il Dipartimento di Scienze economiche della Federico II di Napoli, di anticipare alcune delle opzioni di fondo che scaturiscono dall’indagine.

Professore, l’indagine rileva che al Sud occorre puntare sui giovani. Ma come? “Il Rapporto rileva innanzitutto che, per perseguire adeguatamente questa opzione, occorre una scossa, un cambiamento del punto di vista: il Sud visto non più come periferia, bensì, secondo un’intuizione secolare e un dato geografico, come centro. In particolare, il centro di una delle aree di maggiore interesse al mondo, il bacino del Mediterraneo. Insieme a questo cambiamento del punto di vista, occorre però anche un radicale mutamento del modello di sviluppo nel segno della sostenibilità, sussidiarietà, facendo leva su “attori sistemici”, cioè soggetti capaci di catalizzare intorno a sé altri attori -pubblici, privati, profit e non profit- nei diversi settori e livelli di governance, nell’interesse dell’intero sistema. Se è questa la strada per un Mezzogiorno protagonista, ne deriverà un beneficio per tutto il Paese”.

La principale emergenza sociale resta comunque l’occupazione. Ci sono dei segnali positivi? “Nel terzo trimestre del 2017, l’occupazione nel Mezzogiorno ha registrato l’incremento di 108.600 unità lavorative in più rispetto al medesimo trimestre del 2016, ma si tratta di un dato ancora al di sotto del picco ante crisi quando il tasso di occupazione (20-64 anni) era pari al 44,8%, ben lontano tuttavia da quello del Centro Italia (63,2%) e del Nord (66,8%). Seppure in discesa oggi, il tasso di disoccupazione è al 17,9% che è decisamente superiore a quello del Nord Italia (10,6%) e ben lontano dalla percentuale media dell’Ue a 28 (7,5%). Il tasso di occupazione giovanile è invece pari al 46,6%, mentre i Neet rappresentano il 60% del totale nazionale”.

Quali interventi sostenuti nel Rapporto potrebbero adottare per ridurre questa emergenza sociale? “Sostenendo le famiglie nella fase pre-natale e in fase neo-natale; favorendo le opportunità occupazionali per i cittadini italiani ed i migranti attraverso la rete dei centri per l’impiego; avviando processi d’inserimento attraverso la formazione permanente; rafforzando le competenze di base”.

Quali attori dovrebbero contribuire a tutto questo? “Innanzitutto quelli che possono esprimere una visione e mobilitare risorse finanziarie con nuove modalità di gestione, dal governo nazionale a quelli regionali. Poli l’Unione europea che non può non riconoscere il Mezzogiorno come sua punta avanzata nel Mediterraneo”.

Ed i settori sui quali intervenire? “In primis sul sistema imprenditoriale integrando le imprese con i poli di eccellenza laddove ci sono, come la chimica e l’aerospazio, e incrementando l’export delle produzioni tradizionali e quelle a più elevato contenuto tecnologico. Infine, rafforzando le potenzialità del Sud dal punto di vista turistico. Nonostante negli ultimi anni la crescita del turismo sia stata costante, le presenze straniere (1/3 del totale nazionale) indicano ancora opportunità non adeguatamente sfruttate”.