Economia

GM: entro il 2030 solo auto elettriche. I dubbi a cui Detroit non risponde

di Marco Scotti

General Motors annuncia la carbon neutrality entro il 2040

General Motors ha annunciato che entro il 2035 produrrà solo veicoli elettrici e che dal 2040 diventerà carbon neutral, ovvero che le emissioni verranno compensate da attività che riducono l’impatto di anidride carbonica portando a zero il saldo di Co2 nell’atmosfera. È una ragione per festeggiare? Sì, ma ci sono parecchi punti che meritano di essere chiariti una volta per tutti. 

Primo: come ha annunciato il ceo di Renault Luca De Meo le auto costeranno di più nei prossimi dieci anni, perché quelle elettriche non hanno ancora raggiunto quell’economia di scala necessaria per la produzione di celle che consentono di muovere i veicoli. Dunque dobbiamo attenderci da qui almeno al 2030 una progressiva discrasia tra chi può permettersi di investire parecchio per un’auto (che oltretutto beneficerà degli sgravi, almeno in Italia, in misura più massiccia) e chi invece dovrà “accontentarsi” di proseguire con vecchie macchine o comprare veicoli alimentati a benzina. Tra l’altro, la caccia alle streghe lanciata contro il diesel – considerato in Europa una sorta di “killer” dei nostri polmoni anche se i test più recenti hanno restituito una verità decisamente diversa – ha portato al rialzo delle emissioni nell’atmosfera.

Secondo: la profittabilità per il mondo automotive. Perché è inutile nasconderlo: al momento l’auto elettrica rappresenta solo il 5% delle vendite globali nonostante alcuni Paesi abbiano già annunciato lo stop alla produzione dei veicoli endotermici entro il 2030. Secondo alcuni studi, nel 2032 (cioè tra 11 anni) potrebbero rappresentare il 20% del venduto complessivo, mentre altri guardano a una cifra del 43% entro il 2035. In tutto ciò, bisogna capire quanto costa per le aziende la transizione elettrica. Tesla ha registrato nel 2020 il primo utile della sua storia dopo quasi 20 anni di vita. Le aziende automobilistiche, dopo un anno terribile, devono ora decidere se bruciare cassa o se proseguire sul solco già tracciato.

Terzo: la filiera. Perché il mondo dell’automotive non vive soltanto dei grandi nomi, ma di un oceano di realtà grandi (come Faurecia o Marelli o Brembo) ma anche decisamente più piccole. I motori elettrici sono completamente diversi da quelli termici, non sono soltanto alimentati in modo diverso. Significa riconfigurare completamente l’intera catena di fornitura in un momento particolarmente complesso per l’economia mondiale. Chi ha fiutato l’aria che tirava ha già avviato la riconversione, gli altri rischiano grossissimo.

Quarto: l’idrogeno. La Germania ha investito decine di miliardi su questa forma di alimentazione. L’Italia sta portando avanti grandi progetti con Snam e A2a a fare da capofila. Perché non pensare di impiegare questo propellente anche per l’automotive? Si tratta di una logica di filiera che potrebbe essere vincente: si crea un grande indotto, si utilizza la ricerca e sviluppo di diverse industry, si porta un circolo virtuoso capace di alimentare l’industria in toto e non soltanto i veicoli. È vero, GM ha annunciato una partnership per la creazione di camion alimentati a idrogeno, ma perché non estendere il progetto anche alle vetture stradali? Il costo sarebbe così più elevato delle e-car che, oltretutto, non garantiscono grande autonomia?

Quinto: le batterie. Che fine faranno le batterie esauste quando non potranno più essere ricaricate? La durata media di quelle a celle è di circa dieci anni, il che ci proietta direttamente al 2030 circa, data in cui molti vogliono iniziare a essere esclusivamente elettrici. Per allora, stante la progressiva riduzione delle emissioni di Co2 da parte delle automobili, bisognerà iniziare a capire come smaltire le batterie. Altrimenti, altro che carbon neutral.

Sesto e ultimo punto: i mercati finanziari. Elon Musk è diventato uno dei due uomini più ricchi del mondo. Lui e Jeff Bezos si rimpallano lo scettro, ma siamo sicuri che non ci troviamo di fronte a un rischio bolla? Da che cosa si stabilisce la market cap di un’azienda automotive? La creatura del magnate sudafricano vale quasi 10 volte Volkswagen.

Eppure ha venduto meno di mezzo milione di veicoli, mentre la casa di Wolfsburg aveva superato le 10 milioni di unità nel 2019. Il solo annuncio delle intenzioni di GM del suo “go electric” ha portato a un incremento del valore delle azioni del 7%. Perché? Se dunque basta una visione di un futuro plausibile (ma non è detto che sarà davvero questo il 2030 che ci aspetta) per volare nelle quotazioni di mercato, prepariamoci a nuovi terremoti. Perché il rispetto dell’ambiente non può passare soltanto per gli slogan. Serve una vera transizione, ordinata e meticolosa, che ci consenta un futuro come quello che si sognava da bambini: auto silenziose che volano, città pulite, aria sana. Ma per arrivare a questo sogno serve un impegno un po’ più concreto dei semplici annunci.