Economia
Huawei, svolta nel mercato dei cellulari: Google rallenta la corsa di Pechino
Aveva appena scalzato Apple (36,4 milioni di smartphone venduti), con una quota del mercato mondiale che nel primo trimestre di quest’anno si è aggirata intorno al 19% (59,1 milioni), la seconda posizione, immediatamente dietro al colosso coreano Samsung (71,9 milioni di telefoni, il 22% circa), al termine di una corsa in cui anno dopo anno, ha conquistato interi mercati, grazie a una forte spinta negli investimenti: l’anno scorso Huawei ha speso 15,3 miliardi di dollari (dati Bloomberg). Più del doppio di quanto investiva cinque anni fa, con una crescita seconda soltanto ad Amazon.
La decisione di Google di vietare al gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei di usare alcuni degli aggiornamenti del suo sistema operativo Android, rischia di azzoppare le velleità del colosso di Shenzen, leader assoluto nelle reti quinta generazione (5G) di telefonia mobile (che secondo gli analisti è il vero obiettivo degli Stati Uniti rimasti indietro nella corsa), di scalzare Samsung dalla vetta delle vendite mondiali di telefonini. Già, perché sebbene Huawei stia sviluppando un proprio sistema operativo seguendo i dettami del governo di Pechino che predica l’autarchia nelle forniture per le proprie aziende, Android è il sistema operativo per smartphone più diffuso al mondo, seguito da iOS per i device Apple. Sistemi che, secondo i dati della società di analisi Gartner, valgono da soli il 99,9% del mercato mondiale.
La settimana scorsa il presidente americano Donald Trump ha vietato ai gruppi statunitensi gli scambi con compagnie straniere ritenute pericolose per la sicurezza nazionale, una misura che ha come obiettivo Huawei (per il presunto rischio di spionaggio da parte del governo cinese attraverso tecnologia wireless) il cui nome compare nell'elenco di società con cui è possibile negoziare solo dopo aver ottenuto il via libera dal Dipartimento del commercio degli Stati Uniti.
"Stiamo rispettando questo decreto e esaminandone le implicazioni", ha fatto sapere Google in una dichiarazione ad AFP. Visto che la collaborazione tra il gruppo di Mountain View e i produttori di smartphone è indispensabile per rendere i propri sistemi compatibili con i telefoni, Huawei, in sostanza, non sarà più in grado di accedere alle applicazioni e ai servizi proprietari di Google, come Gmail, YouTube, Chrome e Google Play Store, il negozio digitale più grande del mondo da cui scaricare le app.
Considerando il duopolio di mercato Android-iOS, la decisione di Google, che è stata seguita a ruota da altri fornitori a stelle e strisce di chip e microchip come Intel (i cui processori supportano la serie di notebook Huawei che sta raccogliendo interesse da parte dei consumatori) Broadcomm, Qualcomm e Xilinx, avrà profonde ripercussioni sul business della società cinese.
Solo nel ricco mercato europeo, per esempio, secondo una ricerca di Idc, società di analisi leader nel settore, Huawei ha catturato il 29% dei consumatori. Sebbene i rapporti fra la Silicon Valley e la Casa Bianca non siano stati idilliaci fino ad ora, Google, come tutte la altre aziende americane, ha dovuto seguire i dettami di Washington, in primis per non incappare in multe e sanzioni, ma anche per non contraddire, nonostante la rinuncia a lucrosi contratti di fornitura, un potere politico che all'interno del Congresso americano inizia a chiedersi con il decollo della data economy se il colosso fondato da Sergey Brin e Larry Page non sia diventato troppo potente (quindi a rischio spezzatino).
Allineamento che per “Big G” che produce smartphone in proprio con il marchio Pixel potrebbe anche portare in dote spazi di mercato di cui approfittare. Anche perché se per caso Pechino passasse al contrattacco, varando ritorsioni sul terzo player a stelle e strisce Apple, che assembla i propri iPhone in Cina e che nel Dragone realizza il 18% delle proprie vendite mondiali, Google avrebbe ottenuto il risultato di indebolire “due piccioni con una fava”.
Oltre a scuotere il mercato degli smartphone, la decisione di "Big G" sta spaventando anche gli investitori, già poco propensi al rischio per un nuovo avvitamento della guerra dei dazi Pechino-Washington e che la mossa di Mountain View non incanala certo verso una risoluzione soft. Sui listini mondiali i titoli tecnologici sono andati a picco. L'indice Stoxx Europe 600 Technology accusa un -2,44%. A picco l'austriaca Ams, che produce microprocessori e subisce un -10,57 alla Borsa di Zurigo. Pesante anche la tedesca Infineon, -5,70% e l'italofrancese Stmicroelectronics che scivola a Piazza Affari (-8,73%) così come a Parigi (-8,53%).
Al pari di Infineon, Sim non risulta fra quelli statunitensi che, in parallelo alla decisione di Google, hanno sospeso le forniture alla società cinese di telefonini, ma Stm ha Huawei fra i suoi primi 10 clienti e questo pesa in Borsa. Come in passato, il governo di Pechino è corso immediatamente in aiuto del proprio campione nazionale. La Cina "sostiene" le sue società nel ricorso "ad armi legali a difesa dei loro diritti legittimi”, ha fatto sapere il portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang. Insomma, l’ultimo capitolo dello scontro commerciale tra Usa e Cina rischia di aprirne altri e di alimentare ancora la volatilità su tutte le piazze finanziarie mondiali.
@andreadeugeni