Economia
I francesi si sono presi la Fiat. Stellantis, l'aritmetica parla chiaro
Matrimonio con Psa: molte spine e qualche incognita
Con il via libera dei rispettivi consigli di amministrazione si è celebrato un nuovo matrimonio nell’automotive: quello tra Fca e Psa, che ha dato vita a Stellantis. Presto per fare bilanci, anche se appare evidente - come già scritto in altre occasioni - che non si tratta di una relazione alla pari, ma dell’incorporazione da parte dei francesi dell’azienda un tempo nota come Fiat. Non c’è polemica né acrimonia nei confronti del Lingotto, ma solo aritmetica: chi avrà il numero più alto di consiglieri nel nuovo cda? Psa. Chi sarà l’amministratore delegato? L’attuale ceo di Psa. Quale sarà la modalità di produzione prescelta per i veicoli del segmento B, tanto che nei dintorni del Lingotto c’è chi ha dovuto ricorrere a parecchi “cordiali” per digerire la notizia? Quella di Psa.
Dunque, dato per assodato definitivamente che questa unione - ancorché imprescindibile visto il disastro portato dal Covid nell’automotive - non sia totalmente paritetica, rimangono da risolvere svariate questioni. I giornali del gruppo Elkann, Repubblica e Stampa, si sono limitati alla consueta agiografia, con il primo che ripercorre le gesta delle famiglie fondatrici e il secondo a spiegare come Exor avrà la maggioranza dei diritti di voto nonostante un cda in cui è in minoranza. Vero è, comunque, che la holding della famiglia Agnelli sarà il principale azionista, con una quota complessiva del 14,4%, più del doppio rispetto alla famiglia Peugeot e dello stato francese.
Ma le grane per la nuova creatura sono tutt’altro che concluse ora che il matrimonio è stato celebrato. E per evitare che risulti “non consumato” (giusta causa di separazione perfino per la Chiesa) bisogna accordarsi su almeno quattro punti fondamentali. Il primo è che la maggior parte delle fabbriche del gruppo rimangono in cassa integrazione. Dalla Fiom arrivano due messaggi di allarme: il primo è del responsabile automotive Michele De Palma che ha osservato come, nonostante le rassicurazioni, «la maggior parte delle fabbriche Fca resta in cassa integrazione e i modelli annunciati, come Grecale e Tonale, non bastano a tutelare né l’occupazione né la capacità di rilancio dell’automotive in Italia».
Il secondo è del capo torinese dei metalmeccanici Cgil, che ha rimarcato come «l’acquisizione dovesse essere fatta, la vecchia Fiat era sbilanciata. Ma si tratta di un’acquisizione: Psa sta comprando la vecchia Fiat. Se non cambierà qualche cosa le decisioni saranno prese in Francia e prima si penserà alla Francia e poi agli altri Paesi. Per i grandi gruppi la fusione può essere un’occasione, per i piccoli che oggi dipendono da Fca sarà un problema. Se non arriveranno nuove produzioni scivoleremo verso l’oblio».
Ora, se è vero che l’automotive dovrebbe aver chiuso il 2020 in calo del 25% e che quindi i soldi che girano sono davvero pochi, deve preoccupare parecchio il nuovo investimento di Fca in Polonia: due miliardi per lo stabilimento di Tychy. Ad annunciarlo il vicepremier polacco, Gowin, che ha dichiarato su Twitter (novello Trump) che lì verranno prodotte “auto moderne, ibride ed elettriche a marchio Jeep, Fiat e Alfa Romeo” a partire dal 2022. È risaputo che la manodopera in Polonia è decisamente a buon mercato, tanto che lo stipendio medio è di circa 600 euro contro i 1.364 di un operaio italiano. Facile immaginare che la politica di contenimento dei costi abbia fatto propendere per un ampliamento delle linee nel paese dell’est.
Da questo punto di vista, non si trovano grandi esternazioni né da parte dell’esecutivo - Patuanelli dove sei? - sia da parte di Confindustria. Eppure, ci sarebbero tutte le necessità di tutelare il lavoro e i lavoratori. Il governo, ad esempio, potrebbe ricordare che i 6,3 miliardi di garanzia statale sul prestito erogato da Sace è vero che sono stati usati per lo sviluppo del business italiano, ma che magari avrebbe avuto bisogno di qualche “pegno” in più in cambio. Dal canto suo, Confindustria si guarda bene dal tutelare aziende dell’indotto, sub fornitori, attori della filiera che rischiano di restare col cerino in mano se davvero si dovesse adottare lo standard di Psa.
Infine c’è il problema dell’elettrico: Stellantis ha già in ballo alcuni progetti (soprattutto i francesi, a dire il vero) ma deve necessariamente accelerare se vuole beneficiare della nuova tranche di incentivi che arriverà fino a 10mila euro (e fino al 31 dicembre) ma solo per le categorie meno inquinanti. Delle prime dieci auto elettriche più vendute nel nostro paese, solo la Peugeot 208 (al quinto posto) compare tra i brand delle due case. Il trend è tracciato, anche perché l’Europa ha deciso che tra emissioni basse ma costanti e un elettrico ancora tutto da decifrare - chi si occuperà di smaltire le batterie? - è meglio appoggiare l’incertezza dell’e-car. Dimenticando, tra l’altro, che l’idrogeno sarebbe sicuramente meno impattante. Ma la fascinazione per Elon Musk, che in un anno ha visto crescere del 600% il suo patrimonio, ha stregato molti a Bruxelles. Speriamo solo che anche Stellantis riesca a seguire la rotta, entrando nella...costellazione dei produttori di auto elettriche più forti sul mercato. Sarebbe bello, in fondo, tornare a essere protagonisti (seppur in tandem, seppur minoritari) nel mercato dell’automobile.