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Economia
"Il piano Marshall di Draghi? Gli Usa non ci sono più. I soldi li abbiamo, ma l'Ue è disfunzionale"
Mario Draghi

Il piano di Draghi per far ripartire l’Ue: "L'Europa investe in modo disfunzionale, serve una politica pubblica comune"

Mario Draghi non fa sconti: urgenza e concretezza. Questa è la sua ricetta per l'Europa. Il report di 400 pagine sulla competitività, presentato ieri a Bruxelles, suona come un ultimatum: o si agisce ora, o si affonda. Basta con i compromessi sterili. L'ex presidente della Bce parla di investimenti "doppi rispetto al Piano Marshall", 800 miliardi l'anno, che devono essere convogliati in tre settori chiave: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza.

Il Vecchio Continente è fermo, impantanato, mentre Stati Uniti e Cina avanzano senza pietà. Senza un "cambiamento radicale" e un "bilancio europeo federale" rischiamo di perdere i valori fondanti dell'Unione. Il report di Draghi affianca così quello sul mercato unico di Enrico Letta, formando un tandem destinato a ridisegnare il futuro europeo. Eppure c'è già chi si mette di traverso, come la Germania, che se pur a rischio recessione si oppone con le unghie e con i denti al piano dell'ex ministro di emettere nuovo debito comune.

Lo spirito di Draghi è quello di agire all'unisono, ambizioni che si scontrano con un muro di austerità, che rischia dunque di dividere ulteriormente l'Unione Europea, anziché rilanciarla. Affaritaliani.it ne ha parlato con Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia presso la scuola di direzione aziendale dell'Università Bocconi.

Professore, il piano da 800 miliardi all'anno proposto da Mario Draghi è realistico? Quanto è fattibile un aumento così massiccio di produttività e investimenti in piena crisi di bilancio?

Innanzitutto il piano non può essere "Marshall" perché non ci sono gli Stati Uniti a finanziare un’Europa da ricostruire. Semmai un piano autofinanziato, con la capacità di attrarre investimenti dall’estero. Questo è il tema che, secondo me, manca nel report di Draghi.

L’Europa può diventare attrattiva per gli investimenti se crea le condizioni per farlo, e non è tanto una questione di soldi, quanto di regole e di federazione, unificazione del mercato. Il rapporto non ci dice nulla di nuovo, i numeri li conoscevamo già. Ma i tre filoni evidenziati nel report (innovazione, difesa e sicurezza ndr), Draghi li ha classificati in termini di public goods, ovvero beni pubblici europei, ed è qui il tema. L’ex presidente Bce dice: "Non è possibile costruire un bene pubblico europeo in maniera frammentata".

Non è vero che l’Europa non investe in ricerca e sviluppo, ma se lo facciamo in 27 Paesi diversi, l’effetto 'massa critica' non produce una piattaforma digitale, un sistema di difesa, o un venture capital in grado di generare un unicorno. Quello che ha fatto Draghi non è tanto l’analisi di debito, ma l’aver fatto una sintesi europea dicendo che questi tre beni sono pubblici. Da qui deriva il fatto che serva una politica pubblica per finanziarli, e regolarli. 

Allora che cosa impedisce ai governi europei di creare le condizioni necessarie per attrarre questi 800 miliardi di investimenti?

Draghi ricalca un punto importante: non c’è possibilità di trovare il denaro per questa cosa senza una base istituzionale che supporti questo progetto. Non si possono finanziare 800 miliardi per cinque anni senza diventare Federazione: servono condizioni uniche affinché la spesa privata si metta in gioco. Draghi non ha detto facciamo 800 miliardi di debito pubblico, ma 800 miliardi di impegno pubblico e privato. E non è che manchino capitali privati in Europa. 

Quindi non sta dicendo che l’Europa scarseggia di risorse finanziarie o che bisogna creare debito, ma di realizzare un quadro istituzionale che consenta l’allocazione di mercato di questo capitale. Il documento di Draghi sembra una proposta, ma in realtà è un progetto politico: o bonifichiamo i mercati e si creano le condizioni per gli investimenti, o ci prendiamo il lento declino. Non voglio un altro Next Generatio Eu che di nuovo replichi la frammentazione, e su questo Draghi è stato chiarissimo.

Draghi parla di un cambiamento radicale e immediato. Ma in che modo l'Europa può migliorare il suo approccio agli investimenti per una crescita veloce e sostenibile?

L'Europa non deve contrarre altro debito nazionale; ha flussi fiscali sufficienti. Oppure dovrebbe creare un’autorità antitrust unica anziché avere 27 diverse autorità nazionali delle comunicazioni. E questa frammentazione si ripete anche a livello locale. Inoltre, l'Europa non è stata veloce nel produrre regolamentazioni, spesso utilizzate non per creare mercati, ma per frenarli e limitarli.

Tuttavia, in altri ambiti ha agito bene, come nel Green Deal o nel settore automobilistico, dove abbiamo creato le condizioni affinché l'industria automobilistica europea di fatto scompaia, perché non è più competitiva. Fare batterie in Europa costa più che in Cina. Abbiamo scelto di non investire nei cicli tecnologici innovativi e non era una questione solo di imprese private. I nostri investitori, ancora oggi, sono l’industria automobilistica, come Volkswagen, che è in crisi nera, ma è il più grande investitore europeo. Un paradosso. Quindi non è che mancano gli investimenti, ma il modo in cui gli europei investono è disfunzionale.

LEGGI ANCHE: Ue, il piano Marshall di Draghi da 800mld l'anno è già finito nel cassetto. La Germania: "No al debito comune"

La Germania ha fatto muro alla proposta di Draghi. Che cosa pensa di questa posizione? E come si pone l'Italia rispetto al contesto europeo?

La Germania è la quintessenza di questa ingenuità europea. Ha investito in tecnologie tradizionali come la meccanica e l'automobilistica, perdendo così molte opportunità nel campo della tecnologia avanzata. La Germania è poco digitalizzata, come l'Italia. Non ha investito, ad esempio, nell'autonomia energetica, fidandosi del gas russo, e ora paga caro l'assenza di investimenti nelle energie rinnovabili. Inoltre, ha spento irresponsabilmente i suoi reattori nucleari. Si sta danneggiando da sola.

L'Italia segue a ruota: ha sempre aborrito il nucleare e ora, a 40 anni di distanza, ci ripensa in grave ritardo. Non si può avere innovazione senza energia, e se l'energia la paghi il doppio o il triplo degli altri, non potrai mai essere competitivo. Lo stesso vale per l'export verso la Cina. La Volkswagen, che un tempo traeva il 40% dei suoi margini dall'export cinese, oggi arriva a malapena al 12%, poiché la Cina è diventata un esportatore netto.

L'Italia dipende molto meno dalla Cina ed è un'economia più diversificata, sebbene più lenta e disaggregata. I due grandi mali dell'Europa sono questi: Germania e Italia. È inutile che il nostro Paese festeggi un incremento dello 0,1% del PIL, quando il nostro reddito ha perso il 30% rispetto alla Germania e il 50% rispetto agli Stati Uniti in 20 anni. Non abbiamo fatto le scelte giuste e il sistema paese non ha saputo reagire correttamente.






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