Economia
Iveco, salta la vendita ai cinesi. Avanti con lo spin off entro inizio 2022
Lo annuncia Cnh che, dopo lo spin off del marchio dei camion in cui aprire il capitale, guarda alle opportunità di business del "Green deal dell'Ue"
Conclusa la due diligence, doveva arrivare il closing dopo l’offerta miliardaria dei cinesi di Faw, gruppo controllato al 100% dal governo di Pechino e già presente nella Motor Valley emiliana per Iveco. E invece una valutazione giudicata insufficiente, l’insorgere della politica e la minaccia del golden power per un’azienda che occupa oltre 20 mila lavoratori e che ha stabilimenti anche in Francia su cui era attenzionato anche il governo Macron fanno naufragare la vendita del gruppo che produce camion da parte di Cnh Industrial e ben vista dalla Borsa.
Lo stop è stato reso noto dalla stessa controllata di Exor che ha fatto sapere come "le discussioni con Faw Jiefang relative al business on-highway dell’azienda siano terminate”. Come sottolineato anche giovedì nel corso dell’assemblea di Cnh, il gruppo guidato da Scott Wine proseguirà ora con il progetto di spin off annunciato nel settembre del 2019 e da completare “nella prima parte del 2022”.
Al termine dell’analisi dei conti, il gruppo del Dragone era pronto a mettere sul tavolo 3,5 miliardi di euro per rilevare il 100% di Iveco, esclusa la divisione dedicata ai veicoli militari (Iveco Defence, per scongiurare la minaccia del golden power, poi esteso a filiere strategiche anche dal punto di vista occupazionale) e una quota di maggioranza in Fpt. Una cifra che è stata reputata troppo bassa dalla famiglia Agnelli e dunque la prima ragione del mancato deal. Famiglia Agnelli che ora, anche grazie alla leva futura dell’apertura del capitale post-spin off alla Borsa o a un altro investitore, cercherà di cogliere le opportunità di business rappresentate dall’“attuazione di soluzioni e infrastrutture per trasporti sempre più sostenibili, in linea con le ambizioni del Green deal dell'Unione europea”.
I sindacati comunque tirano un sospiro di sollievo per il fatto che la proprietà del marchio e delle produzioni Iveco rimarranno italiane e che Cnh abbia sottolineato, a differenza di alcuni passi verso il deconsolidamento da parte di Exor, di credere nel business dell’automotive. Ma ora tornano in pressing per la seconda volta, da quando a palazzo Chigi è arrivato Draghi, per quanto riguarda il comparto delle quattroruote sul Mise di Giancarlo Giorgetti che, nonostante le richieste delle sigle preoccupate anche per il futuro di stabilimenti italiani di Stellantis, non ha fatto partire le convocazioni dal dicastero di via Veneto.
“La notizia della rottura della trattativa tra Cnh e la cinese Faw impone di dare certezze”, ha sottolineato Michele De Palma, responsabile auto della Fiom-Cgil. “È necessaria - ha proseguito il sindacalista - la convocazione urgente presso il ministero dello Sviluppo Economico per le garanzie sull’accordo sottoscritto il 10 marzo del 2020 al Mise per gli investimenti sul gruppo, a partire da Iveco, per dare prospettive occupazionali attraverso l’implementazione del piano industriale fondato sull’innovazione tecnologica”.
Un altro ostacolo all’acquisto cinese di Iveco era rappresentato dal fatto che sull'eventuale cessione avrebbe dovuto pronunciarsi anche Bruxelles. Negli scorsi mesi l'Antitrust Ue infatti aveva annunciato un controllo più severo sulle acquisizioni in Europa da parte di gruppi extra-comunitari a controllo statale, proprio come Faw. Il timore dell'esecutivo comunitario, condiviso da molti attori industriali e governi europei, è che la disponibilità di fondi pubblici possa consentire offerte fuori mercato distorcendo la concorrenza fra gli operatori.
@andreadeugeni