Economia

Jobs Act, solo 110 mila occupati in più. Tutta la verità sulla riforma

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni

Cos'è l'Adapt? E' l'associazione fondata nel 2000 dal giuslavorista Marco Biagi (ucciso dalle Br)  per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro

Il premier Matteo Renzi ha tagliato il nastro dei due anni di governo. Una delle principali riforme di cui il primo ministro si vanta di aver portato a casa è il Jobs Act. Qual è il suo giudizio sull'intero pacchetto dedicato al mondo del lavoro e cioè sgravi più nuove norme, in particolare sui contratti?
"Alcune direzioni intraprese sono giuste. Mi riferisco, ad esempio, alla decontribuzione: in Italia il costo è molto alto. Allo stesso modo, il contratto a tutele crescenti che toglie l'articolo 18 per i neoassunti, è un fatto positivo perché elimina un po' l'idea che il posto di lavoro sia fisso per la vita. C'è un altro lato della medaglia: gli stessi esempi dimostrano anche però che il governo non è stato molto coraggioso".

Perché?
"Nel primo caso e cioè per quanto riguarda gli sgravi, la decontribuzione nel 2016 verrà ridotta del 60%. Sarà molto più bassa, con l'effetto di aver introdotto il rischio di aver drogato per quest'anno il mercato del lavoro. Le aziende hanno assunto, perché avevano tutti i vantaggi nel farlo. Non con dei numeri pazzeschi, ma qualche incremento sul fronte dell'occupazione c'è stato. Confingurato in questo modo, lo sgravio però non essendo  strutturale può rappresentare un grande problema, perché si è incentivato il mercato del lavoro senza che si riesca a mantenere lo slancio negli anni successivi. Riassumendo, sul fronte della decontribuzione è stata dunque positiva la scelta di incidere sul costo del lavoro, ma si tratta più di una misura tampone che non di una soluzione definitiva. Vedremo quale sarà il trend nel 2016".

E sul fronte dell'articolo 18?
"Se lo si toglie per i neoassunti, ma lo si lascia per chi è già stato contrattualizzato, si crea l'ennesimo dualismo nel mercato del lavoro e, oltretutto, all'interno delle imprese stesse. E' un'operazione rischiosa perché blocca la mobilità dei lavoratori: chi vuole andarsene via da un'azienda se perde le tutele dell'articolo 18? E' abbastanza difficile che si verifichi. L'articolo 18, quindi, andava tolto per tutti. Sarebbe stata una mossa di vera discontinuità rispetto al passato".

E per quanto riguarda i numeri dell'occupazione, qual è stato l'impatto?
"Ci sono un po' di dati che, fra Istat, Inps e Ministero del Lavoro, confondono un po' il quadro. Rispetto agli occupati in più, ci sono 110 mila persone aggiuntive (rispetto al 2014, ndr) che nel 2015 lavorano. Un numero che non è particolarmente emozionante se consideriamo che, grazie al costo del denaro a zero, all'euro debole che incentiva le esportazioni e al prezzo del petrolio molto basso, per buona parte dell'anno la congiuntura è stata molto positiva. Il dato buono non è quantitativo, ma qualitativo".

E cioè?
"Ci sono più contratti a tempo indeterminato".

Ma a tutele crescenti e con meno stabilità, però...
"Esatto. E' il punto centrale. Non ci sono più le tutele che erano in vigore nel 2014. Il nuovo contratto è più precario del vecchio: licenziare è certamente più semplice. Che non è per forza un fattore negativo. Ma è innegabile che si tratta di tipologie contrattuali diverse. E' difficile da sostenere quindi, come fa il governo, che in Italia alla fine ci sono più posti di lavoro stabili".

E quanto è costata questa occupazione aggiuntiva?
"Come Adapt abbiamo fatto questo calcolo: prendendo il costo medio fornito dalla legge di Stabilità che per il 2015 sarebbe stato di 4.200 euro medio come sgravio, quest'anno erano attesi un milione di posti di lavoro. Ne sono arrivati un milione e 400 mila. Ciò fa sì che i numeri siano sballati: a fronte di una copertura di 15 miliardi complessivi per il triennio il costo effettivo sembra essere di 18 miliardi. Mancano, dunque, tre miliardi: le coperture al momento non bastano. Credo che sia un problema che il governo si porrà nel 2018".

Quindi, dopo il Jobs Act, per il momento abbiamo occupazione addizionale, ma costata moltissimo e, oltretutto, sempre meno produttiva, stando a quanto ha fatto sapere Eurostat...
"Purtroppo sì, secondo i dati europei la produttività in Europa è tendenzialmente in aumento. In alcuni Paesi di molto, in altri di poco. In Italia, invece, è stazionaria: siamo a zero su quella degli occupati e in calo su quella dell'orario di lavoro. Per ogni ora di lavoro effettuata, cioè, l'output (il prodotto, ndr) è in calo. Vuol dire che si produce meno. Finchè non cresce la produttività, anche assumendo, il Paese non crea nuovo Pil. Questo dato rappresenta uno dei principali problemi del nostro Paese, perché la competitività di un Stato si valuta sulla produttività".

Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, si potrebbe quindi dire che "la montagna ha creato il topolino"...
"Sì, userei anch'io questa definizione. Un'inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti c'è stata. Considerando però i 18 miliardi di decontribuzioni impiegati in un contesto congiunturale favorevole, in cui gli altri Paesi europei sono andati e stanno andando meglio di noi, il risultato è modesto".