Economia

Lavoro: limiti e sbagli del Reddito di cittadinanza. E sull'Alternanza...

Lavoro: limiti e sbagli del Reddito di cittadinanza. E sull'Alternanza Scuola-Lavoro si dimezzano le ore per gli studenti

LIMITI E SBAGLI NELL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO E NEL REDDITO DI CITTADINANZA

di Piero Righetti

In Italia il tasso di occupazione è ancora troppo basso e quello di disoccupazione (soprattutto giovanile, femminile e meridionale) troppo alto. Una situazione questa che molto difficilmente può migliorare a breve e in modo rilevante ove si abbia soltanto riguardo al fatto che la nostra economia è in una fase di vera e propria recessione ormai da almeno 8 mesi.

D’altra parte, il più ridotto aumento del Pil in quasi tutti i paesi UE – a cominciare dalla trainante Germania, dall’Inghilterra alle prese con la Brexit e dalla Francia con la protesta dei gilet gialli – non facilitano certo una possibile nostra ripresa né nel breve né nel medio periodo.

In questo quadro, completato da una Finanziaria 2019 di cui tutto si può dire tranne che “brilli per una particolare spinta agli investimenti”, l’introduzione del reddito di cittadinanza – che sembra sempre più caratterizzarsi come uno strumento assistenziale di lotta alla povertà e sempre meno come un intervento in favore dell’occupazione – rappresenta di fatto, ad avviso della maggior parte degli economisti e degli addetti ai lavori, un ulteriore ostacolo ad una efficace ripresa del mercato del lavoro e dell’occupazione.

Indubbiamente quello della povertà è un problema di estrema gravità e che non si poteva continuare ad ignorare né a sottovalutare ma, ripeto, la concessione di questo sussidio – prevedibilmente in modo “pasticciato” e senza quasi quei controlli preventivi e/o concomitanti che un po’ tutti ritengono necessari – rappresenterà sì un aiuto economico per tante persone ma costituirà al tempo stesso un freno alla effettiva ricerca di una vera occupazione e un’ulteriore spinta al lavoro in nero.

Quello che manca nel mercato del lavoro italiano – ma non è certo l’unica cosa – è una efficace e valida politica attiva del lavoro da parte soprattutto – come evidenziato recentemente dal CNEL nel documento “Povertà, disuguaglianza e inclusione” – delle strutture pubbliche, e in particolare dei Centri per l’impiego e degli Assessorati regionali al lavoro che hanno il compito di ricercare e porre in essere interventi in grado sia di prevenire il rischio licenziamento sia di facilitare la ricerca di una prima e/o una diversa occupazione. Centri per l’impiego e Assessorati che, secondo quanto previsto dal D.lvo 150/2015, dovrebbero essere attivati e coordinati dall’ANPAL – insieme a Inps, Inail, Agenzie per il lavoro, Fondi interprofessionali e bilaterali, Isfol, Camere di Commercio e Istituti universitari e scolastici – per realizzare misure ed interventi per “l’inserimento e il reinserimento al lavoro” di tutti coloro che sono in cerca di un’occupazione.

E che il reddito di cittadinanza si riduca di fatto ad una misura di contrasto alla povertà lo sostiene la stessa senatrice Catalfo, Presidente della Commissione Lavoro del Senato e prima firmataria del disegno di legge, presentato il 29 ottobre 2013, per l’istituzione appunto di un reddito di cittadinanza.

D’altra parte appare sempre più difficile sostenere che il Decreto legge n. 4/2019, per come è stato formulato e per le modifiche finora proposte, possa concretizzarsi in una serie di interventi di politica attiva del lavoro ove si abbia riguardo, tra l’altro, al fatto che l’obbligo di accettare un lavoro “scatta” soltanto alla 3ª proposta e sempre che questo lavoro comporti una retribuzione mensile non inferiore a 858 euro. Un importo questo che è addirittura superiore, almeno nel 40 per cento dei casi, alla retribuzione mediamente percepita da chi oggi svolge una vera attività lavorativa. Lo stesso “Servizio civile” cui tanti giovani fino ad oggi si sono adattati per avere uno stipendio, sia pure minimo e di breve durata, dà diritto a 433,83 euro al mese a fronte di un impegno di 30 ore a settimana e somme di gran lunga inferiori vengono corrisposte tra l’altro ai riders, a coloro cioè che spesso senza alcuna copertura assicurativa portano cibo a domicilio, in bicicletta o in moto. E sempre a 858 euro mensili avranno diritto tutti coloro che saranno chiamati a svolgere, per un massimo al momento di 16 ore settimanali, lavori di pubblica utilità in favore del Comune di residenza.

Con l’istituzione del Rdc come finora delineato, sembra dunque che ci si voglia allontanare ancora di più da un sistema basato su efficaci e seri interventi di politica attiva del lavoro.

Ne è dimostrazione anche ciò che sta avvenendo a proposito della cosiddetta Alternanza scuola-lavoro che dal 1° gennaio 2019, per effetto di quanto proposto dal Ministro dell’Istruzione e stabilito dalla Legge Finanziaria – oltre a cambiare il proprio nome in “PCTO” (e cioè in Percorsi per le competenze trasversali e per l’Orientamento) – subirà una riduzione sia nel finanziamento che nel monte ore su cui era articolata. Il sistema della Alternanza scuola-lavoro era obbligatorio ormai da 4 anni e prevedeva che gli studenti degli ultimi 3 anni delle scuole superiori dovevano essere impegnati, per un monte-ore variabile a seconda della scuola frequentata, in attività lavorative e/o formative sulla base di apposite convenzioni stipulate con le aziende dichiaratesi disponibili ad inserire momentaneamente questi studenti nel proprio organico.

Dal 1° gennaio 2019 le ore “lavorative” saranno in pratica dimezzate passando, nel triennio, da 400 ore complessive negli istituti professionali a 210, negli istituti tecnici da 400 a 150 e nei licei da 200 a 90, un dimezzamento che, secondo chi l’ha proposto, dovrebbe portare ad un miglioramento dell’offerta formativa da parte delle aziende. Un dimezzamento, sostiene invece chi non lo condivide, che è molto grave soprattutto per le scuole professionali e tecniche e cioè proprio per quelle in cui l’alternanza scuola-lavoro aveva permesso in moltissimi casi l’assunzione di studenti alla fine del ciclo scolastico proprio da parte delle aziende in cui si era concretamente svolto il tirocinio lavorativo. Comunque vada questa riforma, non siamo certo in presenza di un ampliamento di interventi di politica attiva del lavoro, interventi che, per essere efficaci, devono essere consolidati nel tempo, valutati nei risultati e sistematicamente perseguiti.

Anche l’obbligo di svolgimento di attività di pubblica utilità da parte di chi percepirà il reddito di cittadinanza, anche se elevato al momento da 8 a 16 ore settimanali, non sembra tale da configurarsi come una concreta misura di politica attiva del lavoro. Determinanti in tal senso saranno i progetti che verranno proposti dai Comuni, progetti che sarebbe meglio coordinare a livello regionale o almeno provinciale e che – secondo quanto può evincersi dall’interpretazione dell’art. 4 del decreto nella sua attuale formulazione – i Comuni non sarebbero comunque obbligati ad attivare. Interventi di politica attiva del lavoro dunque limitati nella durata e subordinati alla “buona volontà” dei singoli comuni.

Da tutto ciò emerge un quadro di poca chiarezza e di “pressapochismo” della normativa contenuta nel D.L. n. 4/2019 che si somma al poco che finora è stato concretamente fatto in materia di politiche attive del lavoro da quando è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 150/2015, e cioè in un arco di tempo ormai più che triennale.

Siamo dunque ancora molto lontani da ciò che si proponeva di realizzare questo decreto – che disponeva il “riordino della normativa in materia di politiche attive del lavoro” – il cui art. 1, nell’istituire la “Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro”, intendeva promuovere “per ogni individuo… l’effettività dei diritti al lavoro, alla formazione e all’elevazione professionale previsti dalla Costituzione”.

Tante belle parole e tanti buoni propositi, ribaditi almeno in parte dal D.L. n. 4 e che purtroppo sembrano ancora lontani anni luce da una effettiva realizzazione.

Possibili risultati del D.L. n. 4 sembrano essere, al momento, solo quelli di aiuti economici di natura assolutamente assistenziale e di assunzioni di 10/15mila navigator (ma non si sa quando in concreto e in che modo) per le quali faranno domanda anche tanti di coloro che faranno al tempo stesso domanda per ottenere il Reddito di cittadinanza.