Economia

L’Area Studi Mediobanca analizza il vitivinicolo italiano: 8 anni di crescita

L’Area Studi di Mediobanca presenta l’aggiornamento annuale dell’indagine sul settore vinicolo italiano e internazionale. 2017 8° anno consecutivo di crescita

L’Area Studi Mediobanca analizza il vitivinicolo italiano: 8 anni consecutivi di crescita

 

L’Area Studi di Mediobanca presenta oggi l’aggiornamento annuale dell’indagine sul settore vinicolo italiano e internazionale che analizza i volumi aggregati del periodo 2012-2016, integrati con interviste alle imprese per i dati pre-consuntivi del 2017 e le attese sulle vendite del 2018. L’indagine è composta da due sezioni: nella prima vengono analizzate 155 società italiane con un fatturato superiore ai 25 milioni di euro; nella seconda sono esaminate le 15 principali imprese internazionali quotate con un fatturato di oltre 150 milioni di euro e viene descritta la dinamica dell’indice mondiale di Borsa delle imprese vinicole quotate tra il 2001 e il 2018. Nel 2017 aumenta il fatturato delle società italiane (+6,5% sul 2016) grazie alla buona performance dell’export (+7,7%), con il boom del commercio verso l’Asia (+21,1%),  ma anche al contributo delle vendite domestiche (+5,2%). Aumentano gli occupati (+1,8%), continuano a crescere gli investimenti (+26,7%) e c’è ottimismo sulle aspettative di vendita per il 2018. Punte di diamante dell’industry si confermano le aziende venete e toscane. Anche l’aggregato dei 15 maggiori produttori internazionali quotati è in crescita. L’indagine completa è disponibile per il download sul sito www.mbres.it

 

 

Aumentano i ricavi grazie a export e mercato domestico, con crescita dell’occupazione. Positive le attese per il 2018. L’Area Studi Mediobanca analizza il vitivinicolo italiano: 8 anni consecutivi di crescita

 

 

I dati pre-consuntivi del 2017 del comparto vinicolo italiano mostrano un settore in crescita per l’ottavo anno consecutivo (+6,5% rispetto al 2016). Si tratta del maggior incremento degli ultimi 5 anni. Anche nel 2017 l’export ha rappresentato il volano delle vendite (+7,7% sul 2016), in un quadro in cui anche il mercato domestico ha fornito un contributo decisivo (+5,2%). Gli “spumanti” (+9,9% sul 2016) crescono di più dei “vini non spumanti” (+5,6%) e anche sul fronte dell’occupazione il mondo del vino registra un aumento, con un +1,8% rispetto al 2016. Quali sono le previsioni per il 2018? In linea con il segno più dei principali indicatori, le aspettative di vendite per il 2018 restano positive: il 93% delle società esaminate prevede di non subire un calo delle vendite nell’anno in corso, mentre solo il 7% attende una flessione dei ricavi. Il 17,4% ritiene addirittura che le crescita sarà superiore al 10%.

 

 

Aumentano i ricavi grazie a export e mercato domestico, con crescita dell’occupazione. Positive le attese per il 2018. L’andamento dei top player nel 2017

 

 

I tre maggiori produttori per fatturato nel 2017 sono stati il gruppo Cantine Riunite-GIV (€ 594 mln, +5,1% sul 2016), Caviro (€ 315 mln, +3,9%) e Antinori (€ 221 mln, +0,4% sul 2016). Seguono Zonin, che ha realizzato una crescita del 4,2% portandosi a € 201 mln, e la Fratelli Martini a € 194 mln (+13,3%). Sette società hanno realizzato nel 2017 un aumento dei ricavi superiore al 10%: La Marca (+30,7%), Farnese (+28%), Ruffino (+15,5%), Enoitalia (+14,5%), Contri (+14,1%), Fratelli Martini (+13,3%) e Mezzacorona (+13,1%). Alcune delle società esaminate hanno una quota di fatturato estero quasi totalitaria, come Botter al 96%, Ruffino al 93,3%, F.lli Martini con l’89,9%, Mondodelvino (85,4%), Zonin con l’85,1%, La Marca e Schenk entrambe all’82,7%, Farnese con l’81,9% e la cooperativa Cavit (80%). Solo otto gruppi hanno una quota di export inferiore al 50% delle vendite. Per quanto riguarda i mercati esteri, nel 2017 l’area più dinamica è stata quella asiatica (+21,1% le vendite sul 2016), dove si realizza però solo il 4,2% dell’export. Cresce anche il Sud America (+20,1%), pur rappresentando appena l’1,4% del fatturato estero delle vinicole italiane. I Paesi UE rappresentano il principale mercato di sbocco e concentrano il 53,4% dell’export, con una crescita dell’8,6% rispetto al 2016. Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non UE hanno rappresentato il 9,1% del totale (crescita del 5,8%) e il Nord America è cresciuto del 5,7% per una quota pari al 31,9%. Nel complesso, le esportazioni italiane di vino sono cresciute nel 2017 del 7,7% sul 2016.

 

 

Aumentano i ricavi grazie a export e mercato domestico, con crescita dell’occupazione. Positive le attese per il 2018. Venete e toscane le più performanti

 

 

La classifica dei produttori in base alla forza dei loro bilanci – basata su un indicatore di sintesi delle performance economiche e patrimoniali del 2016 – vede la presenza tra le prime dieci società di ben sei produttori veneti, tre toscani e uno piemontese, con Villa Sandi, Mionetto, Vinicola Serena e Botter con i migliori punteggi, seguite da Masi, dalla toscana Ruffino e da Santa Margherita. Anche nel 2017 le società toscane e venete si confermano in testa per redditività (utile sul fatturato) con Antinori al 25%, Frescobaldi al 20,5%, Santa Margherita al 17,2%, Ruffino al 15,7% seguite da Botter (8,6%), Mionetto (5,7%) e Villa Sandi (5,5%) Le società venete primeggiano, soprattutto sotto il profilo reddituale (roi al 9,4% contro il 6,8% nazionale; roe all’11,4% contro il 7,9%); figurano bene anche le toscane (roi all’8,7% e roe all’8,4%) che appaiono solide patrimonialmente (debiti finanziari al 33,2% dei mezzi propri contro il 63,4% nazionale), efficienti (costo del lavoro per unità di prodotto al 44,4% contro 58,6%) e vocate all’export (64,4% contro 51,4%).

 

 

Aumentano i ricavi grazie a export e mercato domestico, con crescita dell’occupazione. Positive le attese per il 2018. Quali sono i canali distributivi maggiormente utilizzati?

 

 

Prevale la grande distribuzione organizzata (Gdo) che interessa il 38,2% della produzione, seguita dai grossisti e intermediari al 16,8%, dall’Ho.Re.Ca. con il 16,5% e dalla rete diretta con il 12,6%. Sui mercati esteri domina l’intermediario importatore (74,5%). I dati relativi al 2016 dell’aggregato dei 15 maggiori produttori internazionali quotati mostrano un fatturato in progresso del 5,8% e incidenze dei margini industriali sulle vendite in rialzo: Mol al 26,1% (13,4% le italiane) e Mon al 22,6% (9,9% le italiane), sebbene l’occupazione del comparti sia calata del 2,9%. Anche analizzando i più recenti rendiconti infrannuali relativi al 2017 si osserva un rialzo del fatturato complessivo dell’1,8%, con incrementi generalizzati a tutte le società, ad eccezione delle francesi Lanson-BCC (-7,6%) e Laurent Perrier (-3,1%) e delle cilene Viña Concha Y Toro (-4,5%) e Viña Santa Rita (-1,5%). Il Mon è complessivamente aumentato del 3,3%, con le tre cilene che presentano però importanti contrazioni, estese anche a livello di risultato netto; esse risentono della scarsa vendemmia del 2017, con il conseguente rialzo di circa il 23% del costo delle uve e del vino, oltre agli andamenti valutari avversi.

 

 

Aumentano i ricavi grazie a export e mercato domestico, con crescita dell’occupazione. Positive le attese per il 2018. Borsa del vino, un brindisi continuo

 

 

Investire nel vino quotato in Borsa continua a essere un ottimo affare: la capitalizzazione dei titoli che compongono l’indice mondiale di Borsa del vino è aumentata del 12,2% tra marzo 2017 e marzo 2018. Ma se si amplia l’orizzonte temporale di riferimento, i numeri sono di gran lunga migliori: dal gennaio 2001 l’indice di Borsa mondiale del settore vinicolo in versione total return (comprensivo dei dividendi distribuiti) è cresciuto del 719,6%, al disopra delle  Borse mondiali (+148%); la migliore performance in termini relativi (ossia al netto delle dinamiche delle Borse nazionali) è stata realizzata dalle società del Nord America (+744,6%), dell’Australia (+163,5%) e della Francia (+100%), mentre in altri Paesi le società vinicole hanno reso meno della Borsa nazionale: Cile -40,1% e Cina -73,4%. Le italiane quotate restano due. Se le non quotate scegliessero la Borsa vedrebbero il proprio equity valorizzato in media il 70% in più.